Raccolta di opinioni, giudizi ed altro sulla italianità.

Raccolta di note e riflessioni espunte da letture che dicono tanto e sulle quali occorrerebbe riflettere e far riflettere il cosiddetto “POPOLO” e non solo……………………..( e cioè politica , borghesia ,intellettuali, giornali, opinionisti etc etc.)

Un testo guida quello di AUGIAS “ Segreti di Italia”.

Pacique imponere morem, parcere subiectis, debellare superbos.

I romani governeranno il mondo con la sapienza delle leggi, così come Anchise predisse ad Enea quando profetizzò i grandi uomini che nasceranno dalla sua discendenza.

Il bel paese ch’appenin parte e ‘l mar circonda e l’Alpe di Petrarca

Il viaggio non consiste nel veder nuove terre ma nell’aver nuovi occhi di Marcel Proust.

Il giudizio sugli Italiani dell’Università di Princeton: artistic, impulsive, passionate 

ed ancora del prof Ponza , economista che insegna in Inghilterra , così sintetizzato: da una faccia della medaglia c’è l’Italia dall’altra gli italiani, razza geniale, ma corrotta, inaffidabile e licenziosa. 

La forza dei pregiudizi e già viva in un anglista, Franz, nel suo saggio : Scoperta dell’Italia.

“Non sarà così  ma è come ci vedevano e forse ci vedono gli altri”

I viaggiatori del grand tour sono stati tutti molto duri tranne eccezioni, esempio Goeth

Insomma nell’Ottocento l’Italia veniva apprezzata solo per il clima, il sole e per le sue affascinanti rovine. 

Persino Marcel Proust scriveva: la terra dei barbari non è quella che non ha mai conosciuto l’arte ma quella che, disseminata di capolavori, non sa ne’ apprezzarli ne conservarli

Sthendal ha parlato di ebrietà morale al più alto grado, di ubriachezza morale.

Molti osservatori tendono a considerare permanente quella condizione di ebrieta’, perché insita nel carattere italico distinguendo anche tra uomini del Nord e uomini del Sud verso i quali il giudizio è stato sempre più severo. 

D’altro canto il racconto di Federico Fellini nella dolce vita ne è una riprova.

Ma sulla stessa linea tanti film del dopoguerra e del realismo.

Thomas Mann poi traccia un giudizio netto sulle differenze tra il popolo italiano e quello tedesco.

Gli Italiani si sono sbarazzati del loro grande uomo per concedere poco dopo al mondo ciò che si pretende anche da noi e cioè la resa incondizionata; noi, dice Thomas Mann , siamo un popolo diverso, un popolo dall’anima tragica contrario alle cose prosaiche e consuete; tutto il nostro amore va al destino, un destino che sia magari la rovina che infiamma il cielo con la rossa vampa di un crepuscolo degli dei.

Vedi il film sulla caduta degli DEI

La dimensione tragica e’quella che manca ed è mancata nella storia dell’italiano

Non è detto che la vocazione tragica sia una qualità, ma di certo la percezione ironica del carattere italiani dice quello che gli altri pensano di noi.  

Volendo contestualizzare si può ben dire che in Italia la condizione ironica e non tragica fa nascere anche i partiti del qualunquismo, movimenti sul nulla, ed associazioni simil politiche parto della mente di un giullare e di un comico, prendendone addirittura il nome.

È’ proprio vero; queste considerazioni meriterebbero un ampio approfondimento.

Veniamo ricordati difatti nella storia più per la sconfitta di Caporetto che non per la difesa e di El Alamein dove ci fu un comportamento eroico.

I luoghi comuni, giusti o ingiusti che siano, ci hanno sempre accompagnato.

Helmuth Schmidt disse che i carrarmati italiani hanno quattro marce come gli altri però una va avanti e le altre tre indietro. 

A proposito della disgraziata guerra di Grecia voluta da Mussolini Winston Churchill disse: l’ultimo esercito d’Europa ha battuto il penultimo.

Il comandante inglese della spedizione aereonavale nelle Falkland Malvinas   a chi gli chiedeva un pronostico sullo scontro rispose: se sono di origine spagnola resisteranno, se di origine italiana fuggiranno.

Der Spiegel, giornale tedesco, ha scritto a proposito del disastro dell’isola del giglio: cosa c’è da meravigliarsi che il comandante della Concordia fosse un italiano? 

Per poi arrivare, lo stesso giornale, alla crisi dell’euro assumendo che la crisi della valuta dell’Euro dimostra quanto per motivi politici valga la psicologia dei popoli e nel particolare caso quella degli Italiani.

Wolfgang Schauble ministro democristiano del governo Kohl ebbe a dire del suo paese: dobbiamo far parte di una struttura sovranazionale che sia in grado di tenere a freno il demone che scuote il nostro popolo. 

Noi, invece, per vent’anni abbiamo avuto un capo di governo che ha osato presentarsi in pubblico con il volto tirato dal chirurgo, coperto da un cerone cinematografico, con capelli finti e tacchi ortopedici. 

Una maschera da melodramma o da comico di avanspettacolo che ovunque nel mondo l’avrebbe fatto precipitare nel ridicolo.

In Italia al contrario gli ha assicurato a lungo la vittoria.

Forse di tanto in tanto occorre riflettere su questi giudizi che anche nostri illustri pensatori, Dante, Leopardi per citarne alcuni, hanno espresso

Giudizi che gli uomini di buon senso hanno però il dovere morale di far modificare costruendo gli argini quando è possibile e contribuendo alla resipiscenza quando questa ha la natura per emendare gli uomini e la società.

Negli altri casi sarà bene che quei costumi si scontrino con la dura realtà, ne paghino  il fio, se le vie della conoscenza e della ragionevolezza non dovessero diventare vie maestre.

A conforto va anche detto che una gran parte degli Italiani non rientra nel quadro descrittivo delle peggiori virtù ma in quello dei buoni valori, intrisi di sentimenti ed ideali,

Noi siamo da secoli calpesti e derisi perché non siam popolo perché siamo divisi. Mameli

Hai serva Italia di dolore ostello nave senza nocchiere in gran tempesta non donna di provincia ma bordello. Canto Sesto purgatorio con Sordello da Mantova Invettiva contro la divisione degli Italiani 

Ed è su questa parte che va costruita la nazione.

Su questo tema si potrebbe anche utilizzare il testo di Benedetto Croce Il paradiso abitato dai diavoli per trarre utili stimoli per un ammonimento per la società nazionale.

Benedetto Croce ricorda che su Napoli le valutazioni negative iniziano sin dal 1673 nel dizionario del Morelli, e ancora ricorda che sin dal 1539 tal Bernardino Daniello scrive:” io pur venne a Napoli gentile, da bene il cui sito a me pare meraviglioso e il più bello che io vedessi mai, perché io non ho mai veduto città ch’abbia da l’un dei lati il monte e dall’altro la batti il mare come fa questa ed anche per le sue altre particolarità che tutte insieme e ciascuna per sé lo fanno guarire mirabile ma perché dovete sapere che la natura non vuole che si convien per far ricco uno gli altri sian in povertà .

E quando l’ebbe molte delle sue doti più care concedute le parve di restringere la mano affinché l’altra città non li mandassero ambasciatori a dolersi con esso lei di tanta parzialità e propose fra se stessa di dare questo paradiso ad abitare al diavoli e così come aveva proposto mandò ad effetto”

Napoli sarebbe un paradiso e per riequilibrare quando non avevano avuto gli altri viene riempita di diavoli. Nelle pagine successive Croce ricorda tutte le attività e le iniziative anche di natura accademica dalle quali il regno di Napoli viene travolto, con ingiurie, con cattive considerazioni tanto che viene fatta oggetto già nel 1707 da oratorie e poetica all’università di Altdorf “si parla di questo regno Neapolitano paradisus est a diabolis habitatus ulterius esplicatum”

ll discorso comincia a ricordare la terra fortunata elegantissima per natura, che Capua la deliziosa ammolli Annibale, si passa a ricordare con lingua tremebonda quanti napoletani erano facinorosi, che l’inferno non escogitò nessuno scelleratezza di cui cotesta nazione di uomini non si sia bruttata.

Sino all’anno 1632 ci sono contatti 54 ribellioni; che i napoletani siano giudicati pessimi tra i pessimi vi è piena conferma che riceve dai fatti la verità del proverbio universalmente ripetuto .

Ma Benedetto Croce di Napoli era fortemente innamorato e ricorda che, per quando l’antico proverbio non risponda a verità sebbene sia uscito di moda e sia caduto in dimenticanza perché, non risponde più al sentire odierno e non risponde anche per tante altre ragioni perché la realtà è ben diversa dalle considerazioni insite nel pensiero del diavolismo napoletano.

Pur tuttavia egli dice ancora oggi accettiamo senza proteste che ce lo dicano, e che ce lo dica lo straniero con gli altri italiani, ma se ce lo diciamo noi a noi stessi è perché stimiamo che esso valga da sferza, da pungolo e concorra mantenere viva in noi la coscienza di quello che è il nostro dovere

Sotto questo aspetto ci importa poco ricercare fino a quel punto detto proverbiale sia vero giovandoci tenerlo verissimo per far sì che sia sempre men vero.

Quindi Croce conviene che i napoletani come anche gli Italiani sentano sempre forte lo stimolo a non abbassare il livello morale e la misura della dignità come a non limitare la misura della vera cittadinanza.

Sarà poi vero ed è possibile.

La corruzione male antico.

(Scritto in occasione del Convegno alla Chiesa del Gesu del Gruppo legalità, convegno al quale intervennero Cantone, Marrelli, De Maio ed altri Napoli il 25 giugno 2014,  ma non pubblicato.Un pezzo giornalistico venne invece pubblicato sul Denaro e appostato sul sito Rotary Napoli Castel dell’Ovo)

Qualche digressione sul tema della Corruzione

Se si fa una ricerca su Google con le parole “convegni sulla corruzione” si ottengono 1.790.000 risposte. Negli ultimi due anni si è generato nella società civile di fatto un circuito “parolaio” estremamente pericoloso. Tutti hanno imbracciatto il vessillo della anticorruzione e dell’anticorruttela.

 

Parlarne a tutto tondo sembra poter evocare l’assunzione dell’antidoto per combatterla “a parole” meno che nei fatti nei sistemi ove è più presente da sempre, sistemi che postulano un modello di società alternativa rispetto a quella tratteggiata nei libri che la pubblicistica ogni giorno mette negli scaffali delle società editrici.

L’elenco è interminabile.

Il fenomeno degenerativo della nostra società è, come è noto, quasi sempre attribuito alla pubblica amministrazione e per essa più specificamente alla materia dei lavori pubblici, resi difficili e complessi da norme che sembrano fatte apposta per rallentare lo svolgimento dei programmi e creare le condizioni per spingere a lubrificare il sistema. Ma non lo esaurisce.

Un esempio di un caso concreto caduto di recente sotto gli occhi ha aperto in chi scrive la mente suscitando una riflessione immediata.

Un bando pubblico per una attività di sviluppo di sistemi IT di una Regione (la nostra, tanto per non dire di altre), per un importo di circa 1000000 €, è stato articolato su un capitolato di 556 pagine.

C’è da presumere che la sola lettura e comprensione del documento avrà impegnato risorse rilevanti per la definizione del progetto da presentare per la aggiudicazione della gara, ancor prima della realizzazione dell’opera. Una volta aggiudicata la gara ad ogni stato di avanzamento non potranno non insorgere complessità non rinvenute nella documentazione di supporto. Quindi occorrerà individuare le strade per aggirare un ostacolo che è in re ipsa e che non è detto debba avvenire solo con il ricorso alle modalità della “pecunia olet” .

 

Talvolta le facilitazioni si articolano anche attraverso modalità che hanno per oggetto scambio di favori impalpabili che la legge, anche quella recente, tende ad inquadrare al meglio senza peraltro riuscirci, pur nella ricerca concreta degli elementi del quadro corruttivo che talvolta può essere anche solo un banale accordo amicale progenitore di altre promesse.

 

Anche questa è corruzione, più sottile, più subdola ma è anch’essa corruzione anticipatrice di ben più strutturati modelli quando se ne ravvisassero in futuro le esigenze.

 

La corruzione, poi , non è estranea anche al sistema delle relazioni tra privati, al mondo delle professioni e soprattutto delle aziende non pubbliche; è parte integrante del sistema di vita quando esso non si fonda su regole morali ed una concezione etica del ruolo, concezione che vanamente viene tradotta nei codici deontologici, largamente usati ed abusati che costituiscono quasi sempre solo materia di studio e non patrimonio sostanziale del modello professionale o del modo di agire delle aziende.

 

Nel contesto privato le articolazione del modello corruttivo avvengono con modalità proprie; hanno impatti meno devastanti degli effetti che si colgono nel settore pubblico ove le ricadute sono esiziali per i costi della macchina operativa oltre che per la inadeguatezza dei servizi e la lunghezza dei tempi dei lavori che durano un’eternità.

 

Che sia un fenomeno più ricorrente nel settore pubblico è un dato certo per la materia che ivi si tratta: raggiungere il “bene pubblico” con soldi pubblici di “Pantalone”, cioè della collettività spremuta per creare ricchezze effimere ed immeritate. Nel privato è più difficile da misurare ed anche da perseguire, lede in via immediata il patrimonio privato a lungo andare lede il patrimonio generale dei costumi e delle regole.

 

Ma ritorniamo alla occasione della nota suggerita dalla lettura della risposta dell’indagine su Google: 1790.000 voci.

 

A parlare di corruzione sono ormai in tanti accorsi, in verità, da ogni dove: Istituzioni, enti, associazioni, centri culturali, ordini professionali, università, privati cittadini che si ergono a difesa della legalità, politici nuovi appena arrivati, che si fanno difensori strenui del rigore e delle regole.

 

In verità c’è anche chi ne fa una sorta di genomica dotazione esclusiva: ed è il caso di taluni giornali, di trasmissioni televisive che l’assumono come verbo, di organizzazioni politiche invase dallo spirito del giustizialismo ad ogni costo.

 

Per indignazione o per moda, per acquisire conoscenze più puntuali o per stimolare le soluzioni politiche, naturalmente, i convegni sull’etica “bene comune” e sulla corruzione non si contano. Vi partecipano tutti ed anche tanti addetti ai lavori.

 

Il tema sembra aver acceso l’ardore sacro dell’onestà sino ad oggi non percepito; un segno potrebbe essere anche l’orientamento di voto degli italiani sulla cui generale natura è anche lecito dubitare, perché nella ricerca di una soluzione al problema, si dà per scontato che non si debbano toccare le posizioni individuali considerate per definizione indenni e mai attaccate dal morbo deviante che corruzione e corruttela ingenerano. Cioè riguarda sempre gli altri e mai noi stessi. Una sorta di nimby: not in my back yardin. Versione del motto nostrano: chi è senza peccato scagli la prima pietra.

 

In definitiva parlarne non costa nulla, fa fare un bella figura, impressiona, e nello stesso tempo dimostra a quelli che ascoltano di essere dalla parte dei giusti, di avere la consapevolezza del tema; cosi si prospetta negli altri anche l’idea del timore che insorge del fatto che inseguire certe strade non porta sempre bene.

 

Purtroppo è normale e frequente che sia tra chi parla ma ancor più tra chi ascolta che si registri la presenza di chi alimenta anche con modalità nascoste comportamenti di corruttela che non necessariamente devono identificarsi con il passaggio di bustarelle e di beni concreti, e che invece si materializzano con lo scambio di favori non consentiti, eticamente e moralmente riprovevoli.

 

E’ sconvolgente la lettura del nuovo libro edito da Bompiani, Numero Zero di Eco, atto di accusa impietoso su alcuni modi di fare giornalismo anch’essi portatori di corruzione e corruttela. I peggiori per l’effetto mediatico che da essi si genera immediatamente e che interessa platee enormi di persone.

 

Il messaggio va egualmente applicato a non poche trasmissioni televisive ove imperversano i soliti noti che non avrebbero diritto di parlare e di stare dalla parte dell’onestà per le pratiche che a loro vengono riferite ed addebitate.

 

In questo caso si dovrebbe dire anche che corrotti sono anche coloro che sfruttano a fini di audience popolare persone che Dante Alighieri avrebbe messo nei gironi danteschi più profondi dell’inferno.

 

Gli esempi potrebbero continuare all’infinito, visto che in ogni caso la percezione che si ha dell’Italia nel famoso indice della corruption testimonia il grado di percezione che si ha all’estero del bel paese, indice che ci penalizza oltremodo nell’economia.

 

Inseguire certe strade non porta mai bene; è cosi, sia per i singoli che per la collettività.

 

Il sistema della corruttela e della corruzione, a ben vedere, e’ molto più complesso del sistema criminale.

 

Quello malavitoso si fonda su una struttura permanente ed una organizzazione con finalità socio economiche destinate alla produzione ricorrente del crimine volto ad alimentare persone ed aziende con il dna dell’illecito che sopravvivono solo grazie ai profitti ingiusti del loro operato.

 

Gli aderenti operano tra di loro alla luce del sole con ruoli e compiti definiti ed obiettivi condivisi i e con l’accettazione di un rischio noto ad ovo.

 

Rischio che nella corruzione si tende a mascherare, giacchè basato su un silenzio prezzolato, su catene di rapporti omertosi i cui equilibri sono sempre sul punto di cedere; sono critici per definizione, per la presenza  nella filiera di parti e soggetti eterogenei, alcuni forti ed altri deboli, quasi sempre colletti bianchi e zone grigie, non protagonisti di vicende di criminalità comune , ma pronte in ogni caso a rompere la catena del silenzio e della omertà al primo dispiacere o torto subito.

 

Riguardando i diversi casi , anche non attuali e degli ultimi anni , si rileva da subito che l’esplosione della notizia e dello scandalo a seguito delle indagini non dipende solo dalla pur brava ed efficace opera dei magistrati che utilizzano tanti strumenti di indagine e tante soluzioni per le inchieste, ma anche dalle iniziative delle cosiddette gole profonde, di quei personaggi che sentendosi, ad un certo punto del percorso, sottopagati per il loro silenzio, e che ritenendo di aver subito torti, dopo aver goduto di un arricchimento temporaneo dettato dalla bramosia di ricchezza e di riconoscimenti sociali effimeri, inciampano. Collaborano, quindi, sapendo di non potersi più sottrarre alla giustizia e dovendo limitare i danni.

 

Ad essi non resta che declinare tutte le informazioni che consentono la ricostruzione della ragnatela corruttiva per contare su una mitigazione di pena, quando non vogliono architettare il ruolo di salvatore della patria per acquisire benemerenze.

 

Si rompe cioè la catena del silenzio e dell’omertà senza esporsi alle dure e diverse sanzioni che invece sono tipiche delle associazioni criminali e che costringono “i collaboratori di giustizia” a una non vita, ad una specie di 41 bis all’esterno, non in carcere ma sotto protezione permanente.

 

E’ cosa ben diversa, è sorte atipica quella che tocca al collaboratore di giustizia dei casi di corruzione. Quali le conseguenze? E’ costretto in parte dei casi a rinunziare ai frutti dell’attività ed a passare il resto della vita nell’ombra o sotto i riflettori della pubblica opinione e, talvolta, nei casi più gravi, in carcere ma solo per qualche tempo.

 

Forse se corrotti e corruttori avessero meglio valutato ex ante i rischi di quella loro scelta insana avrebbero anche assunto decisioni diverse.

 

La corruzione non paga ma costringe a pagare, costringe a vivere una vita morale magra, di tensione, di odio sociale per le conseguenze; abbassa il livello della società civile al rango dei sistemi del terzo mondo.

 

Ciò vale sia per la catena degli amministratori e dirigenti della pubblica amministrazione che per le aziende che inquinano il mercato ed il sistema della concorrenza; entrambi destabilizzano l’economia.

 

Le aziende una volta emerse nella loro immoralità sono costrette, purtroppo, a stalli pericolosi che coinvolgono anche i dipendenti che nessuna colpa hanno ma che finiscono, immeritamente, quasi sempre sul lastrico.

 

Se è giusto che i padroni paghino per i loro errori non lo è però per le maestranze e per le famiglie che da esse dipendono.  Ma allora a chi conviene la corruzione? Lo sentiremo forse nel corso del Convegno alla Chiesa del Gesù dal magistrato Cantone che sul tema si sta spendendo da tempo come civil servant oltre che come operatore di giustizia.

 

 

 

 

 

 

Qualche considerazione sull’oneste vivere.

Nel mese di giugno dello scorso anno ho scritto alcune considerazioni sul tema dell’onestà. Alla luce di eventi recenti che hanno messo al centro dell’agire politico il tema dell’onestà, che sembra stia solo da una parte ed essere appannaggio esclusivo solo di una fetta del paese, mi è sembrato opportuno riproporre il pezzo che affida alla riflessione di chi legge alcune congetture sulle quali sarebbe opportuno tornare più spesso senza gridare al diavolo e fare del bel paese l’area dell’Ue  ove si leggono solo dati e notizie destrutturanti.

 

Nel paese dove è inutile essere onesti: nel pezzo sull’Espresso dell’11 giugno 2015 cosi conclude Saviano.

Egli assume che la politica è incapace di fare pulizia; si arriva alle liste compilate con criteri discutibili. Conclude l’articolo dicendo che Corrado Alvaro ebbe a scrivere che la disperazione più grande che può impadronirsi della società sta nel dubbio che vivere onestamente è inutile.

Per quanto si possa in parte condividere il pessimismo sulla qualità morale media della nostra società, indotta dai tanti esempi ricevuti per il passato, non si può del pari non considerare che negli anni si sono sviluppati una serie di anticorpi alla disonestà che certamente non possono farla considerare uguale a quella precedente Ventennio.

Mi chiedo se non sia anche compito dei giornalisti e degli opinionisti fare delle analisi più puntuali, evitando di cavalcare il tema, ed indicando ai lettori le differenze sostanziali tra il pluralismo democratico di oggi rispetto alla diversa governance culturale di un periodo, retrodatabile sino al 70/75, nel quale l’assenza nella società di strumenti di informazione pervasivi di fatto relegava la conoscenza delle notizie a pochi addetti, quasi sempre di testate giornalistiche manipolatrici della pubblica opinione ; notizie recitate peraltro senza controllo alcuno.

 La televisione come mezzo di diffusione era nella funzione divulgatrice pressochè insufficiente e forse anche imbavagliata; la rete web inesistente, i giornali molto più asserviti e strutturalmente funzionali alla politica o al potere ovunque si annidasse.

Tante notizie di reità e di malaffare rimanevano nell’ombra; passavano sotto silenzio o arrivavano in maniera distorta. E poi non c’era l’uso giornalistico indiscriminato ed illegittimo, di oggi, delle notizie di reato frutto del passaggio del processo da inquisitorio ad accusatorio, passaggio che avrebbe dovuto tutelare il presunto reo e che invece lo ha messo immediatamente alla berlina mediatica con l’impiego distorto delle notizie da intercettazione in prima pagina che però assiemano ed accomunano nelle vicende cittadini che solo a distanza di anni riusciranno ,poi, a dimostrare di essere fuori della mischia.

Si può, pertanto, con sicura convinzione dire che gli onesti sono solo una minoranza nel paese e che tutto nella politica si riduce alla “sola politica del malaffare”?

E che tutta la politica viene portata avanti da persone deviate che, per quanto significative nel numero, non rappresentano giammai tutta la categoria nella quale, invece, operano persone impegnate, serie e determinate a curare il bene collettivo?

Ad avviso di chi scrive è da rifiutare l’assioma della società dei disonesti di Alvaro, come della politica fatta solo da disonesti, non fosse altro per il fatto che la stragrande maggioranza del paese, fatta di cittadini comuni e di politici comuni, può vivere di modesti e umili passi, di contributi incapaci di incidere ed anche incapaci di iniziative portatrici di disvalore.

C’è infatti una maggioranza silenziosa che opera e lavora, distribuita ed articolata cui forse si può e si deve addebitare una sola colpa e responsabilità: quella di essersi messa troppo in disparte, di non partecipare, di delegare tutto ai pochi che la guidano.

Si è finanche assunta gran parte di essa l’ulteriore ruolo dell’astensionismo inquadrabile nella categoria di coloro che non hanno tra le loro priorità il bene della società e dello stato e che si lavano le mani alla “Ponzio Pilato”.

C’era anche prima ma ora è cresciuta.

Pericle nel suo discorso sulla democrazia agli ateniesi (qualche annetto fa, circa 400 A.C.), e ce lo ha ricordato recentemente De Masi nel suo Omnia Mundi , ha detto dei cittadini che si disinteressano della politica che non sono persone pacifiche ma inutili per la società alla quale pure si aggrappano, disinteressandosene.

E’ onesto assentarsi e non sentire il dovere di indicare le proprie idee in politica ma partecipare solo indirettamente a tutte le conseguenze, nel bene e nel male, delle scelte operate dagli altri?

O è solo un modo ignavo per dire io non c’entro, mi tengo lontano, anche se poi le conseguenze delle decisioni altrui, come del voto, ricadono su tutti ed anche su chi si è messo sulla sponda del fiume.

 Si partecipa delle cose buone e per quelle non buone si dice: io non c’entro.

Il non voto non è una scelta della ragione ma di pancia; pesa sulle sorti della società, disorienta tutti e favorisce le formazioni del populismo, del qualunquismo e della rabbia.

Torniamo alla onestà di cui innanzi si è detto.

C’è in questo costante ritornello sull’onestà, anche di tanti politici , giornali , giornalisti e di tanti cittadini “moralisti” la predica dal pulpito ( è difficile vederli attivi nel ruolo di reali moralizzatori che è ben altro ); c’è una riscoperta dell’onestà in politica dimentichi di cosa sono stati e di  cosa hanno fatto ieri , dimentichi di tante incoerenze che sono sotto gli occhi di tutti, talvolta anche quando appare abbiano operato in tutt’altro senso, ( la lista è lunga e ci porterebbe lontano); c’è in questo refrain di  bandiera l’idea che ora essa, l’onestà, stia da una sola parte.

C’è una sorta di narcisismo di opinione che tende a voler far coincidere chi scrive e chi ne parla (ormai ne parlano tanti a sproposito) con i moralizzatori (cioè con coloro che operano per moralizzare) e non con i moralisti; si sentono essi, sol perché ne parlano e ne scrivono i soli protagonisti del bene, moralisti d’occasione “con la parola e le opinioni “.

Alcune categorie, poi, sembrano santuari dell’onestà nata solo oggi pur essendo convissute con la storia degli ultimi vent’anni del nostro paese al cui precipitato hanno concorso tutti, nessuno escluso.

Una mano a questa scorribanda di idee la dà, poi, l’uso della rete per la quale, non a torto, un certo signor ECO tempo fa ebbe a dire ed a scrivere che essa ha dato spazio anche a chi nelle discussioni del bar, solo qualche anno fa, sarebbe stato messo da parte per la sua insulsaggine e superficialità.

Nessuno di quelli che scrivono di queste cose può essere misurato in concreto con cosa fa ed ha fatto e con i risultati della sua esistenza professionale e civile, sul campo ed in politica, può essere valutato per i suoi comportamenti; conta solo per quello che scrive avendone modo ed occasione o pulpito in qualche talk show, espressione quasi tutti di lacrimatoi dove quelli che lacrimano hanno sempre ragione perché gli altri lavorano nella società solo per danneggiarli.

Evviva la democrazia e l’arte dell’apparire.

Chi invece legge, ascolta, si abbevera, attraverso la lettura si purifica alla fonte dell’onestà raccontata pentendosi di non appartenere all’élite dell’ “oneste vivere” che purtroppo è cosa ben diversa da quella raccontata e recitata e che invece si traduce in atti silenziosi di operosità quotidiana improntata alla correttezza del modus vivendi sempre ed in ogni occasione.

Mi pare sia questa una chiave di lettura corretta, “oserei dire più onesta”.

Tutto ciò detto, naturalmente, vale non solo per i cittadini comuni ma anche e soprattutto per la politica, per tutti coloro che la praticano, per tutte le formazioni di destra e di sinistra ed anche per le formazioni populiste e di rabbia; per esse si potrebbe dire anche che per la giovinezza politica, per essere stati sempre ai margini talvolta anche sociali e fuori dal sistema, non hanno vissuto le condizioni e l’humus per diventare politicamente disonesti : non sono stati cioè ancora messi alla prova e non sono per definizione inattaccabili.

Guardare all’anagrafe, alla provenienza sociologica e professionale dei tanti nuovi protagonisti della politica è certamente una apparente garanzia di purezza generazionale, ma non la garanzia che nel tempo le condizioni di contesto la manterranno intatta.

Va infine detto che la disonestà non è solo quella si materializza in comportamenti truffaldini, di rapina delle risorse dello stato e o della a pubblica amministrazione, in comportamenti sleali e oggetto di disvalore giudiziario e penale. Non è qui il caso di elencare i diversi modi di articolazione della disonestà: sarebbe troppo facile una esemplificazione guardando alla nostra società.

Ma c’è poi una disonestà più profonda, pericolosa, perché ideologica che è quella che snatura il mandato politico (dell’ars politica) giacche far politica, come diceva Aristotele nella ponderosa opera dell’etica Nicomachea, significa occuparsi prioritariamente della cosa pubblica nel solo ed esclusivo interesse della collettività tutta, per il bene della gens patria.

Significa avere un disegno politico di cura delle cosa pubblica, del bene pubblico che è di tutti; un disegno praticabile, che non sta solo nella morsa del moralismo ad ogni costo, per ogni situazione, presentando come società migliore solo quella che rende giustizia in nome del giustizialismo, senza indicare poi soluzioni che valgono per tutti e per la società intera.

Ci sono diversi modi di essere onesti e disonesti e ci sono molti modi per essere di aiuto vero per la collettività: uno di questo sta anche nel dire la verità, nel comunicare con onestà, con lo scopo di rendere tutti  più consapevoli e capaci di assumere decisioni; decisioni non giuste in assoluto, perché non esistono decisioni giuste e non lo sarebbero mai per tutti, ma decisioni opportune e funzionali al momento, al contesto economico , politico e sociale del quadro nazionale ed internazionale che è un portato di anni di storia a cui hanno concorso tutti: la politica, i cittadini, la gens, la cultura, le relazioni internazionali, gli eventi della storia , insomma tutto e tutti.

Nessuno può ritirarsi dicendo io non c’ero. Purtroppo ci siamo stati tutti e ciascuno ha dato nel bene e nel male il suo apporto destruens e construens. E lo si dovrebbe misurare solo con i fatti e con i risultati.

 

E’ da qui che occorre ripartire non ingannando il popolo non sempre attrezzato per comprendere tutto, più sensibile alle sollecitazioni che parlano alla pancia; è da qui che occorre responsabilmente iniziare per fare politica seria senza proporre il miraggio di soluzioni miracolistiche ed immediate, e con la lusinga di difese ad oltranza di posizioni del tutto insostenibili.

Lo stato attuale delle cose è il portato di anni di inazioni e di cattive azioni in politica e nella società che ha smarrito valori e la bussola.

Quindi, per riprender lo spunto offerto dal giornale, scritto in un momento in cui si discuteva delle liste e dei politici incriminati,  si deve sostenere, contraddicendo ALVARO, che vivere “oneste” non è solo un dovere, non è solo un imperativo morale , è la condizione minima con la quale occorre incidere anche là dove quegli stessi principi di onestà non sono pane quotidiano, ricorrendo però molto meno alle parole e sostenendo con azioni concrete la società nelle difficoltà, soprattutto quando occorre, evitando esacerbazioni e indicando passi morali che non sono quelli dell’invito all’astensionismo ed altri di cui si è scritto e dibattuto recentemente nello stesso periodo.

 Sarebbe questo un vero segnale di solidarietà nazionale non indebolito peraltro dalla difesa tout court, e ad ogni costo, dello stato individuale che si porta ed a cui si appartiene che tende a mettere al centro solo le proprie opinioni escludendo la società intera molto più complessa ed articolata.