I diritti del cittadino digitale, la mano morta della pubblica amministrazione supportata dalla mala politica.

Luglio 26, 2014

Quanto di ciò che è stato scritto, nel 2009, su carta ed on line sul giornale “Cilento Channel” è ancora da attuare? Quanto è solo una idea e non una vera opportunità di partecipazione?

Una cosa è certa: i cittadini hanno una quantità di diritti sanciti in norme di carattere generale, addirittura in Codici, (è il caso del CAD) che sono inespressi e disattesi, perché di essi, e lo si può constatare ogni giorno, non vi è piena consapevolezza.

E’ da qui che deve ricominciare il processo della Agenda digitale dello Stato e di tutti gli Enti ed Istituzioni connesse, non solo dalle infrastrutture, pure da completare, e dai processi applicativi da ricondurre ad integrazione, vista la inevitabile disarmonia dipendente dai tanti centri di governance , amministrativi e politici; quel che più conta ed importa è la alfabetizzazione dei cittadini da sempre poco informati e sensibilizzati per l’assenza di centri di responsabilità dedicati ed orientati a far crescere la cittadinanza digitale. Tanto ora risulta scritto anche nel documento dell’Agid ( Agenzia digitale ) sul programma per la crescita della cultura digitale. Ma sono anni che se ne parla.

 Pubblicato nel 2009

Cominciamo dalla E-democracy.

Filone portante dell’azione di rinnovamento pubblico attraverso la IT ( information tecnology), punto cruciale dell’E-government, la e-democracy ha visto rafforzati i suoi principi, già contenuti nell’intero quadro legislativo comunitario e nazionale preesistente , in una legge dello Stato : “Legge 7 giugno 2000 n. 150 , GU 136 del 13 giugno 2000” seguita da regolamenti successivi e da direttive ministeriali.

Riguarda tutte le amministrazioni dello Stato, le Regioni, le Province, i Comuni e tante altre istituzioni; attiene alla informazione ed alla comunicazione istituzionale che non può limitarsi ad un ufficio stampa, ad un addetto, a comunicazioni formali, di routine o a momenti di immagine.

Contiene e descrive un processo sostanziale che deve tendere a far conseguire una informazione diffusa, sistematica, approfondita, attraverso stampa, Web Tv, audiovisivi, attraverso strumenti telematici, di natura esterna quando si rivolge ai cittadini, alla collettività e ad altri enti, di natura interna quando riposa su sistemi di organizzazione dell’ente dediti alla mission istituzionale.

Mira a favorire la conoscenza delle disposizioni normative, l’accesso ai servizi pubblici; a promuovere conoscenze allargate ed approfondite sui temi di rilevante interesse pubblico e sociale; ad introdurre processi di semplificazione della attività amministrativa, a produrre visibilità sulle decisioni amministrative e sulle ragioni sottostanti, sugli scopi e sulle finalità dei provvedimenti.

Tende in altri termini a generare prodotti informativi di qualità, di sostanza, da tradurre in progetti di e-government, in dotazioni di strumenti ed apparati, di servizi, da definire in un programma annuale di comunicazione, capace di generare una interazione delle PA con la cittadinanza per facilitare un miglioramento dei processi decisionali e delle scelte strategiche, soprattutto di quelle che hanno ricadute sostanziali per la collettività.

I principi legislativi e le norme che le esplicitano devono assurgere a sistema, a modello di relazione fondato su un complesso di assetti organizzativi assorbenti che non esclude niente e nessuno.

E per essere cosi come descritta all’interno della istituzione la pratica della “e-democracy” deve poter contare su risorse idonee oltre che sulla volontà strategica della governance pubblica.

Naturalmente qualcuno si chiederà se quanto è previsto nei diversi ordinamenti, se ciò che viene scritto ed ipotizzato in linea teorica ha delle realizzazioni. La risposta non è semplice.

Il progetto di e-government che sta alla base è alla la soglia del decennio.

Chi lo ha presidiato, sul piano culturale e della conoscenza da sempre, sa cosa è cambiato (tanto), quanto sia salito il livello delle informazioni in qualità e quantità, quanti enti e quali si relazionano realmente con le comunità di riferimento,e quanti passi da giganti sono stati fatti e dove.

Sarebbe bene che ciascuno analizzasse il suo mondo facendo uno sforzo di benchmarking per capire quanto la sua realtà di riferimento politica, amministrativa ed istituzionale si identifica nelle cose scritte innanzi.

Le 22 Regioni, le province 107, i comuni 8101 gli altri Enti, nessuno escluso, sono poi solo una parte dei destinatari degli obblighi cui si aggiungono la Pubblica amministrazione Centrale e gli Enti ed Organismi che costituiscono lo Stato allargato.

Nel paniere c’è di tutto: ci sono i bravissimi, i bravi, i meno bravi e gli assenti.

Ne consegue che le comunità assumono la qualità dei loro momenti rappresentativi; sono virtuose, non virtuose, assenti anch’esse o addirittura agnostiche ma di fatto rispecchiano l’orientamento delle amministrazioni a cui appartengono.Talvolta sono le stesse comunità a pungolare le amministrazioni e ad indurle a scegliere modelli relazionali innovativi che aboliscono l’albo pretorio cartaceo di antica progenitura. E’ il minimo.

Si può solo segnalare che nel decennio passato le opportunità sono state tante e che non sempre sono state colte.

Bandi, finanziamenti, progetti di e-gov nazionali o regionali non hanno visto le città che meglio conosciamo né tra quelle che divenivano assegnatarie o protagoniste della competizione nè tra quelle che concorrevano da sole o insieme ad altre.

Rarissime sono state le partecipazioni e modesti i risultati. Solo di recente si è letta qualche buona notizia e si sono visti passi in avanti verso una sorta di comunicazione passiva (monodirezionale) dei soli contenuti formali (delibere dell’anno, provvedimenti etc etc …). Ometto gli esempi per carità di patria.

Ad essa non corrisponde un progetto di interazione di sistema.

L’E-democracy è tutt’altra cosa.

Giugno 2009 Federico d’aniello

Nota di aggiornamento

La lista delle attese sulla piena digitalizzazione della nostra società è ancora molto lunga.

I ceppi più critici e le condizioni di insufficienza che la connotano non sono pochi. Tra essi la inadeguatezza più seria è da ricondurre, come accade per tante tematiche che hanno reso esiziale l’assetto istituzionale del titolo V della Costituzione, nella polverizzazione dei sistemi, dei processi e delle procedure che non è solo questione degli apparati centrali (Tanti Ministeri, tanti data base e tante informatiche) ma anche agli apparati periferici.

L’assurdo è che ancora oggi i Comuni sono tante isole, le ex Province altrettanto e le Regioni mondi nei quali la forza dell’autarchia è divenuta “autarchia” non solo gestionale, amministrativa ma anche informatica.

Chi ha la pazienza di leggere la lista qui acclusa (monitoraggio che viene fatto dal Parlamento ) sicuramente individuerà tra scogli da superare, da rimuovere e da demolire la disaggregazione dei data Center che si assomma alle inefficienze di uno sviluppo applicativo incapace di far parlare le diverse amministrazioni e le diverse funzioni almeno a livello regionale.

Renzi ha indicato nella IT della Pubblica amministrazione uno degli snodi sui quali fare perno.

Quando lo ha detto forse non aveva ancora valutato che la burocrazia che lo ostacolerà si serve anche della leva dell’It per rallentare. Tutto in chiave legislativa è, infatti, già stato scritto da anni (l’esempio è quello della legge sovra richiamata sulla e-democracy ); le mancate attuazioni, alcune dipendenti dai decreti e dai regolamenti non ancora emessi, sono legate agli interventi di sistema tutti da realizzare che dovrebbero incidere in radice sui poteri degli organi ed organismi della burocrazia attaccati , che vedono la Information tecnology come una leva di cambiamento tesa a trasformare gli assetti da burocratici in “adocratici” ed a disintermediare il tutto con semplificazioni notevoli.

Con eliminazione di passaggi, di ruoli, di posizioni gerarchiche, di adempimenti e quindi di uffici, di controlli a basso valore aggiunto, di fasi deliberative e delibative affidate alle dirigenza, insomma di una serie non piccola di aree di privilegio e di gestione di adempimenti diversamente espletabili.

Il delta della inefficienza/efficienza derivante è stato valutato, non ora, ma da anni dalle società di consulenza in una significativa percentuale del PIL nell’intero paese. E certamente il settore pubblico è quello a maggiore capacità di contribuzione.

Non bastano, però, per realizzare un disegno così complesso solo competenze gestionali alte, occorrono uomini di progetto ed expertises capaci di governance strategiche, tecniche e tecnologiche salde e risorse per il cambiamento che sono una merce rara del sistema Italia e lo sono tanto più nelle pubbliche amministrazioni che per definizione sono particolarmente versate nella funzione del burocratese.

Forse varrebbe la pena di farsi aiutare da “risorse esterne”, da quelle che lo fanno per mestiere e che da anni hanno contribuito a rivoluzionare il sistema bancario e tante altre realtà.

Dopo aver letto giorni fa un pezzo sulla storia ironica del cammino cartaceo delle leggi e dei decreti nei passaggi tra i ministeri mi sono persuaso e convinto che il cammino è ancora lungo.

Ed ho anche capito perché solo dopo dieci anni e più dalla emanazione della legge si è dato avvio al processo telematico nel settore della giustizia civile.

Ma quante altre situazioni del genere attendono di essere portate a compimento? Non poche: tra queste vi è sicuramente anche la Sanità, altra roccaforte di potere difficile da espugnare anche perché distribuita in 22 principati assolutamente ingovernabili ed ingovernati, come stiamo vedendo da tempo.

Alla luce di ciò che si legge si può accreditare di buona fede l’operato di quanti dovrebbero provvedervi ?

Le resistenze sono tutte battaglie di retroguardia destinate a capitolare , non perché c’è la voglia ed il furore sacro delle azioni; ma soprattutto perché c’è chi ce lo impone nell’interesse del gruppo, quello europeo ben s’intende, che non può permettersi di trasportare carri più lenti pena il deragliamento collettivo.

Perché forse non è neppure del tutto chiaro il disegno complessivo che non è dato solo dalla messa a regime dei sistemi nazionali ma dalla più ambiziosa integrazione delle banche dati, miniere di conoscenza, e dalla connessione delle autostrade telematiche a livello di Comunità per una competizione di natura trasnazionale tra aree mondiali.

Un esempio? quello della finanza, delle banche e dei sistemi di pagamento.

Senza di che ora saremmo tutti al tappeto. Ma forse anche di tanto non c’è poi tanta consapevolezza.

E di tutto ciò non si dà mai atto all’Europa.

Talvolta mi chiedo se le formazioni politiche ed i gruppi di opinione che la avversano hanno veramente la consapevolezza di quello che dicono.

 

Federico d’aniello

Legge 7 giugno 2000, n. 150

lista delle attività della Agenda digitale a Marzo 2013