Considerazioni sul tema della buona giustizia

Pezzo inserito nella pagina di Dino.

 

Caro Dino, hai la capacità di attivare momenti di riflessione a cui l’imbarbarimento della popolcrazia (la democrazia del popolo come si legge in un bel testo che ho sottomano) ci sta disabituando.

Tutti quelli che sono stati e sono facili alla reprimenda dei politici e della politica non sanno, sarà per incultura ed ignoranza, talvolta è malafede, che, per chi sceglie la strada dell’arte aristotelica più difficile e più nobile (la politica) e della cura della pubblica amministrazione ed ha la disavventura di incorrere in criticità particolari va fatta una sostanziale distinzione.

Il profilo penale della questione, dal quale Bassolino, e non è il solo, esce alla grande, non va confuso con il profilo amministrativo degli atti e non ha nessun parentado con quello politico frutto di scelte orientate dai valori che si coltivano.

Su quest’ultimo, quello politico, si può anche non essere d’accordo.ma non sino al punto da far ricadere l’effetto opinione sugli altri due momenti che hanno una ratio giuridica completamente distinta che è quella che sta alla base delle comuni riflessioni.

Hai fatto bene a riprendere e richiamare il caso di un nostro concittadino che tanto ha dato alla città, al territorio, alla politica nazionale e che le lunghe vicende giudiziarie hanno fortemente provato e mi chiedo anche come abbia potuto resistere. L’intervista di ieri su Repubblica la dice tutta.

Nel nostro caso ciò di cui si deve parlare è, non l’honestà di cui si son fatti araldi i nuovi reggenti della cosa pubblica, ma l’honestà dell’uomo/ persona sottoposto ad un esercizio di giustizia a cui, sembra, non sia possibile riconoscere il valore sotteso del termine, perchè evoca tutto fuorchè il diritto ad un processo giusto soverchiato da anni di gogna mediatica e di isolamento civile e sociale e da una durata inverosimile.

Può un cittadino, pur se incorso in errori peraltro fatti in buona fede, come si evince ormai per tabulas dai 18 processi subiti, sentirsi sottoposto ad un processo mediatico per anni, sentire l’offesa alla sua onestà di uomo e di politico, sentire calpestata la dignità, solo perchè l’anno 92 principiò attraverso il triunvirato, che tu hai opportunamente richiamato, un sistema di giustizia che ha mirato ad appropriarsi del processo come strumento per affermare una supremazia di potere e per aprire una pagina discutibile oggi non ancora chiusa?

La gogna come sentenza anzi tempo e come rifiuto al valore civile del dibattimento, quale sede naturale per garantire alle due parti il giusto processo e la ricerca della verità, non ha solo reso i tuoi brillanti studi un esercizio accademico vano ma ha anche prodotto uno squilibrio sociale le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, impossibili da ricucire per le tante incapacità della stessa politica, oltre che le per tante resistenze verso la vera ed unica riforma necessaria.  L’uomo ed il cittadino ne escono distrutti e calpestati  Il sistema è stato oggetto senza essercene accorti di una violenza destruens che ha indebolito tutti. Si potrebbero fare analisi e studi molto appropriati per capire le reali conseguenze della società bloccata.

A nulla sono valse le tante sentenze sui casi (Vedi Contrada ed altri) della Corte di Giustizia Europea ed anche le severe opinioni dei paesi a noi vicini.

Non sono capace di seguire le evoluzioni ed i ragionamenti tuoi e dell’amico Vitaliano e dei tanti che si sono egregiamente inseriti in questo interessante confronto, ragionamenti che scendono nel profondo della materia; un dato di concretezza può contribuire a dare senso alla utilità del confronto e sono i numeri e le casistiche giudiziarie che da anni vengono raccolte da cultori della materia con scrupolosa meticolosità.

Dati che qualcosa dicono per la questione di fondo e che servono anche a riconoscere alla giustizia giudicante i meriti di una grande onestà intellettuale e professionale oltre a che a ben sperare sull’esito finale dei processi in senso ottimistico. Ma può bastare? No

Le assoluzioni ed i proscioglimenti infatti, nel periodo successivo all’anno fatidico sono stati e sono, infatti, di gran lunga prevalenti in termini numerici e qualitativi rispetto alle poche condanne e sentenze esemplari dirette alla riparazione e tutela dell’offesa subita dallo Stato e del pubblico interesse leso con le azioni dei rei.

Tutto ciò non può indurre a contrariis a trarre il convincimento che la giustizia funziona perché poi, alla fine, trionfa nelle sedi ordinarie sia pure attraverso un processo tra i più articolati tra quelli che i paesi evoluti coltivano come modello per rendere giustizia; processo che ha lungaggini inaudite e che i nuovi propositi legislativi sulla prescrizione mirano a rendere ancor più intollerabili alla faccia della giustizia.

Abbiamo da anni credo, messo sotto i piedi lo Stato di diritto a cui la nostra cultura giuridica ci aveva formato ed informato.

Non è il caso di ricordare situazioni particolari (tante a noi ben note e vicine mentre quelle più eclatanti sono poi sotto gli occhi di chi vuol vedere) ma a quanti vogliono tirare il conto delle questioni e delle amare vicende segnalo che, anche attraverso ricerche in rete, si può acquisire una ricca documentazione che è li a riprova di un cattivo funzionamento di un settore fondamentale della società.

Ad esso non si è posto rimedio anche con la separazione delle carriere di cui si è detto nell’interessante confronto, separazione la cui mancanza, ad onta di tutto, distingue e continua a distinguere il nostro ordinamento da quello delle più evolute società con le quali siamo in una competizione perdente.

Ma quel che più offende in tutta questa enorme vicenda socio politica, il caso di Bassolino è li in maniera emblematica a ricordarci che queste storie non sono prive di enormi risvolti e conseguenze anche sul piano economico, è il fatto che in nome della “HO-nestà” derisa e vilipesa verso la nostra politica nazionale si sono alzati i vessilli della nuova honestà “ quella vera”. La prima è stata chiamata a pagare il conto per tutto il nostro paese.

La nuova invece mira a cancellare valori irrinunziabili di cui il popolo democratico non si accorge e non può accorgersi, né si rende conto salvo casi come questi in cui al confronto rispondono in tanti accesi dalla fiammella della intelligente provocazione.

E in ciò sta anche l’amarezza più profonda di chi invece crede che il bene comune sta nella giustizia, nei valori della Carta Costituzionale, come nelle regole dell’ordinamento che non è solo quello delimitato dal locus fisico ma dal locus giuridico sovranazionale che ingloba principi condivisi ed accettati per una società “giusta”, nella quale il rispetto della dignità e della libertà sono a presidio di una civiltà non solo giuridica.

 

Segue lettera di Cagliari alla famiglia come testimonianza dura di cosa può succedere all’uomo dinanzi ad ingiustizia perpetrata dalla Giustizia

Miei carissimi Bruna, Stefano, Silvano, Francesco, Ghiti: sto per darvi un nuovo, grandissimo dolore. Ho riflettuto intensamente e ho deciso che non posso sopportare più a lungo questa vergogna.

La criminalizzazione di comportamenti che sono stati di tutti, degli stessi magistrati, anche a Milano, ha messo fuori gioco soltanto alcuni di noi, abbandonandoci alla gogna e al rancore dell’opinione pubblica. La mano pesante, squilibrata e ingiusta dei giudici ha fatto il resto.
Ci trattano veramente come non-persone, come cani ricacciati ogni volta al canile.
Sono qui da oltre quattro mesi, illegittimamente trattenuto.

Tutto quanto mi viene contestato non corre alcun pericolo di essere rifatto, né le prove relative a questi fatti possono essere inquinate in quanto non ho più alcun potere di fare né di decidere, né ho alcun documento che possa essere alterato. Neppure potrei fuggire senza passaporto, senza carta d’identità e comunque assiduamente controllato come costoro usano fare.
Per di più ho sessantasette anni e la legge richiede che sussistano oggettive circostanze di eccezionale gravità e pericolosità per trattenermi in condizioni tanto degradanti.
Ma, come sapete, i motivi di questo infierire sono ben altri e ci vengono anche ripetutamente detti dagli stessi magistrati, se pure con il divieto assoluto di essere messi a verbale, come invece si dovrebbe regolarmente fare.

L’obbiettivo di questi magistrati, quelli della Procura di Milano in modo particolare, è quello di costringere ciascuno di noi a rompere, definitivamente e irrevocabilmente, con quello che loro chiamano il nostro “ambiente”. Ciascuno di noi, già compromesso nella propria dignità agli occhi della opinione pubblica per il solo fatto di essere inquisito o, peggio, essere stato arrestato, deve adottare un atteggiamento di “collaborazione” che consiste in tradimenti e delazioni che lo rendano infido, inattendibile, inaffidabile: che diventi cioè quello che loro stessi chiamano un “infame”. Secondo questi magistrati, a ognuno di noi deve dunque essere precluso ogni futuro, quindi la vita, anche in quello che loro chiamano il nostro “ambiente”.
La vita, dicevo, perché il suo ambiente, per ognuno, è la vita: la famiglia, gli amici, i colleghi, le conoscenze locali e internazionali, gli interessi sui quali loro e loro complici intendono mettere le mani.
Già molti sostengono, infatti, che agli inquisiti come me dovrà essere interdetta ogni possibilità di lavoro non solo nell’Amministrazione pubblica o parapubblica, ma anche nelle Amministrazioni delle aziende private, come si fa a volte per i falliti.

Si vuole insomma creare una massa di morti civili, disperati e perseguitati, proprio come sta facendo l’altro complice infame della magistratura che è il sistema carcerario.
La convinzione che mi sono fatto è che i magistrati considerano il carcere nient’altro che uno strumento di lavoro, di tortura psicologica, dove le pratiche possono venire a maturazione, o ammuffire, indifferentemente, anche se si tratta della pelle della gente.
Il carcere non è altro che un serraglio per animali senza teste né anima.
Qui dentro ciascuno è abbandonato a stesso, nell’ignoranza coltivata e imposta dei propri diritti, custodito nell’inattività nell’ignavia; la gente impigrisce, si degrada e si dispera diventando inevitabilmente un ulteriore moltiplicatore di malavita.

Come dicevo, siamo cani in un canile dal quale ogni procuratore può prelevarci per fare la propria esercitazione e dimostrare che è più bravo o più severo di quello che aveva fatto un’analoga esercitazione alcuni giorni prima o alcune ore prima.
Anche tra loro c’è la stessa competizione o sopraffazione che vige nel mercato, con differenza che, in questo caso, il gioco è fatto sulla pelle della gente. Non è dunque possibile accettare il loro giudizio, qualunque esso sia.
Stanno distruggendo le basi di fondo e la stessa cultura del diritto, stanno percorrendo irrevocabilmente la strada che porta al loro Stato autoritario, al loro regime della totale asocialità. Io non ci voglio essere.

Hanno distrutto la dignità dell’intera categoria degli avvocati penalisti ormai incapaci di dibattere o di reagire alle continue violazioni del nostro fondamentale diritto di essere inquisiti, e giudicati poi, in accordo con le leggi della Repubblica.
Non sono soltanto gli avvocati, i sacerdoti laici della società, a perdere la guerra; ma è l’intera nazione che ne soffrirà le conseguenze per molto tempo a venire. Già oggi i processi, e non solo a Milano, sono farse tragiche, allucinanti, con pene smisurate comminate da giudici che a malapena conoscono il caso, sonnecchiano o addirittura dormono durante le udienze per poi decidere in cinque minuti di Camera di consiglio.
Non parliamo poi dei tribunali della libertà, asserviti anche loro ai pubblici ministeri, né dei tribunali di sorveglianza che infieriscono sui detenuti condannati con il cinismo dei peggiori burocrati e ne calpestano continuamente i diritti.
L’accelerazione dei processi, invocata e favorita dal ministro Conso, non è altro che la sostanziale istituzionalizzazione dei tribunali speciali del regime di polizia prossimo venturo. Quei pochi di noi caduti nelle mani di questa “giustizia” rischiano di essere i capri espiatori della tragedia nazionale generata da questa rivoluzione.

Io sono convinto di dover rifiutare questo ruolo. E’ una decisione che prendo in tutta lucidità e coscienza, con la certezza di fare una cosa giusta.
La responsabilità per colpe che posso avere commesso sono esclusivamente mie e mie sono le conseguenze. Esiste certamente il pericolo che altri possano attribuirmi colpe non mie quando non potrò più difendermi. Affidatevi alla mia coscienza di questo momento di verità totale per difendere e conservare al mio nome la dignità che gli spetta.
Sento di essere stato prima di tutto un marito e un padre di famiglia, poi un lavoratore impegnato e onesto che ha cercato di portare un po’ più avanti il nostro nome e che, per la sua piccolissima parte, ha contribuito a portare più in alto questo paese nella considerazione del mondo.

Non lasciamo sporcare questa immagine da nessuna “mano pulita”. Questo vi chiedo, nel chiedere il vostro perdono per questo addio con il quale lascio per sempre.
Non ho molto altro da dirvi poiché questi lunghissimi mesi di lontananza siamo parlati con tante lettere, ci siamo tenuti vicini. Salvo che a Bruna, alla quale devo tutto. Vorrei parlarti Bruna, all’infinito, per tutte le ore e i giorni che ho taciuto, preso da questi problemi inesistenti che alla fine mi hanno fatto arrivare qui.

Ma in questo tragico momento cosa ti posso dire, Bruna, anima dell’anima mia, unico grandissimo amore, che lascio con un impagabile debito di assiduità, di incontri sempre rimandati, fino a questi ultimi giorni che avevamo pattuito essere migliaia da passare sempre insieme, io te, in ogni posto, e che invece qui sto riducendo a un solo sospiro?
Concludo una vita vissuta di corsa, in affanno, rimandando continuamente le cose veramente importanti, la vita vera, per farne altre, lontane come miraggi e, alla fine, inutili. Anche su questo, soprattutto su questo, ho riflettuto a lungo, concludendo che solo così avremo finalmente pace. Ho la certezza che la tua grande forza d’animo, i nostri figli, il nostro nipotino, ti aiuteranno a vivere con serenità e a ricordarmi, perdonato da voi per questo brusco addio.

Non riesco a dirti altro: il pensiero di non vederti più, il rimorso di avere distrutto i nostri anni più sereni, come dovevano essere i nostri futuri, mi chiude la gola.
Penso ai nostri ragazzi, la nostra parte più bella, e penso con serenità al loro futuro.
Mi sembra che abbiano una strada tracciata davanti a sé. Sarà una strada difficile, in salita, come sono tutte le cose di questo mondo: dure e piene di ostacoli. Sono certo che ciascuno l’affronterà con impegno e con grande serenità come ha già fatto Stefano e come sta facendo Silvano.
Si dovranno aiutare l’un l’altro come spero che già stiano facendo, secondo quanto abbiamo discusso più volte in questi ultimi mesi, scrivendoci lettere affettuose.

Stefano resta con un peso più grave sul cuore per essere improvvisamente rimasto privato della nostra carissima Mariarosa.
Al dolcissimo Francesco, piccolino senza mamma, daremo tutto il calore del nostro affetto e voi gli darete anche il mio, quella parte serena che vi lascio per lui.
Le mie sorelle, una più brava dell’altra, in una sequenza senza fine, con le loro bravissime figliole, con Giulio e Claudio, sono le altre persone care che lascio con tanta tristezza. Carissime Giuliana e Lella, a questo punto cruciale della mia vita non ho saputo fare altro, non ho trovato altra soluzione.
Ricordo Sergio e la sua famiglia con tanto affetto, ricordo i miei cugini di Guastalla, i Cavazzani e i loro figli. Da tutti ho avuto qualcosa di valore, qualcosa di importante, come l’affetto, la simpatia, l’amicizia.

A tutti lascio il ricordo di me che vorrei non fosse quello di una scheggia che improvvisamente sparisce senza una ragione, come se fosse impazzita. Non è così, questo è un addio al quale ho pensato e ripensato con lucidità, chiarezza e determinazione.
Non ho alternative. Desidero essere cremato e che Bruna, la mia compagna di ogni momento triste o felice, conservi le ceneri fino alla morte. Dopo di che siano sparse in qualunque mare. Addio mia dolcissima sposa e compagna, Bruna, addio per sempre.
Addio Stefano, Silvano, Francesco; addio Ghiti, Lella, Giuliana, addio.
Addio a tutti. Miei carissimi, vi abbraccio tutti insieme per l’ultima volta.
Il vostro sposo, papà, nonno, fratello
Gabriele

Segue una lista delle vicende del 2016 riportate dal foglio

http://www.ilfoglio.it/cronache/2017/01/02/news/giustizia-flop-giudiziari-2016-113296/

 

 

 

Roma. Si è concluso un anno costellato da innumerevoli flop giudiziari. Ecco un breve riepilogo dei principali casi emersi nel corso del 2016.

 

Gennaio

A essere protagonista del primo flop dell’anno è Luigi de Magistris, ex pubblico ministero di Catanzaro, oggi sindaco di Napoli. Il 13 gennaio, infatti, vengono assolti tutti i politici imputati nel processo per associazione a delinquere scaturito dalla maxi inchiesta “Why not”, sui presunti illeciti nella gestione dei fondi pubblici in Calabria. Passano alcuni giorni e la quinta sezione penale del tribunale di Napoli annulla, dopo otto anni, il rinvio a giudizio nei confronti dell’ex ministro della Giustizia, Clemente Mastella, anche qui per presunta associazione a delinquere. L’inchiesta portò alla caduta del governo Prodi, ma per i giudici è viziata addirittura da “indeterminatezza della descrizione del fatto”. Dopo cinque anni di calvario, infine, il gup di Catania archivia l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa a carico dell’ex senatore Nino Strano (Pdl).

 

Febbraio

Il presidente della regione Campania, Vincenzo De Luca, viene assolto in appello dall’accusa di abuso d’ufficio nel processo relativo alla costruzione di un termovalorizzatore (assoluzione che verrà confermata dalla Cassazione in settembre). La condanna in primo grado aveva determinato la sua sospensione da governatore per effetto della legge Severino. Sempre a febbraio, il senatore Salvatore Margiotta (Pd) viene assolto in Cassazione dall’accusa di corruzione e turbativa d’asta per degli appalti relativi alla costruzione del centro petrolifero Tempa Rossa in Basilicata. Dopo la sentenza di secondo grado si era autosospeso dal partito e si era dimesso da vicepresidente della commissione di Vigilanza Rai.

 

Marzo

La Cassazione smentisce le accuse contro l’imprenditore Andrea Bulgarella, ritenuto dalla Direzione distrettuale antimafia di Firenze colpevole di aver commesso reati finanziari con l’aggravante di aver favorito Cosa Nostra. Ercole Incalza, ex dirigente del ministero delle Infrastrutture e Trasporti, viene prosciolto in un’inchiesta per corruzione relativa alla Tav di Firenze. Per lui è la quindicesima assoluzione in quindici processi. Paolo Cocchi, ex sindaco di Barberino ed ex assessore regionale toscano alla Cultura, Turismo e Commercio, viene assolto dalla Cassazione dall’accusa di corruzione dopo sei anni di accanimento giudiziario. Nel frattempo ha abbandonato la carriera politica e ha cominciato a fare il pasticcere.

 

Aprile

Vengono tutti assolti in primo grado – nel silenzio quasi unanime degli organi di informazione – i dirigenti e i funzionari del ministero dell’Agricoltura accusati tre anni e mezzo prima di aver costituito una “cricca” per la spartizione dei fondi pubblici. Tra gli imputati c’è chi, come Ludovico Gay, ha trascorso 120 giorni in carcere in stato di semi isolamento. A Salerno vengono tutti assolti i sei imputati accusati di aver ordito un complotto per far sì che le inchieste “Why not” e “Poseidone” fossero sottratte a Luigi de Magistris quando questi era pm di Catanzaro.

 

Maggio

La Corte d’appello di Palermo conferma l’assoluzione nei confronti dell’ex generale dei carabinieri Mario Mori e del colonnello dei carabinieri Mauro Obinu dall’accusa di favoreggiamento aggravato per la mancata cattura del boss Bernardo Provenzano. La Corte di Cassazione scrive la parola fine sul processo per l’urbanizzazione dell’area di Castello a Firenze, durato otto anni, annullando la condanna a carico dell’ex patron di Fondiaria Sai, Salvatore Ligresti, e gli altri imputati, tra cui gli ex assessori comunali Gianni Biagi e Graziano Cioni. Dopo quattro anni di indagini e processi, Antonio Conte viene assolto dall’accusa di frode sportiva per una presunta combine.

 

Giugno

La Corte d’appello di Bologna assolve l’ex presidente della Regione Emilia Romagna, Vasco Errani, dall’accusa di falso ideologico nel processo d’appello bis per il caso “Terremerse”. La travagliata vicenda giudiziaria, durata sei anni, nell’estate del 2014 aveva portato Errani alle dimissioni da governatore.

 

Luglio

Ilaria Capua, ricercatrice di fama internazionale e deputata di Scelta civica, viene prosciolta dall’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, abuso di ufficio e traffico illecito di virus. Per due anni è stata dipinta da alcuni giornali, in particolare L’Espresso, come una pericolosa “trafficante di virus”. Due mesi dopo, la Camera dei deputati accetterà la sua richiesta di dimissioni da deputata. Sempre a luglio, viene assolto, in uno dei filoni del processo Mafia Capitale, Maurizio Venafro, ex capo di gabinetto del presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti.

 

Agosto

Scoppia la polemica per una foto pubblicata dal Giornale che ritrae Simona Merra, pm della procura di Trani e componente del pool che cura l’inchiesta sull’incidente ferroviario avvenuto tra Andria e Corato un mese prima, in compagnia dell’avvocato del capostazione indagato, intento a baciare scherzosamente i piedi del magistrato. All’annuncio dell’apertura di una pratica da parte del Consiglio superiore della magistratura, il magistrato decide di lasciare l’inchiesta.

 

Settembre

E’ il mese del “concorso esterno”. Vengono infatti scagionati dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, in procedimenti separati, il deputato Luigi Cesaro (Fi), il senatore Antonio D’Alì (sempre Fi), dopo un rito “abbreviato” durato sei anni, e il consigliere regionale Stefano Graziano, che a causa dell’inchiesta si era dimesso da presidente del Pd campano. E mentre Vincenzo De Luca incassa una nuova assoluzione, stavolta nel processo “Sea Park” per le accuse di associazione per delinquere, falso e abuso d’ufficio (che gli erano costatate l’attributo di “impresentabile” alle elezioni amministrative), nel processo Mafia Capitale viene chiesta l’archiviazione della posizione dell’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno, per il reato di associazione di stampo mafioso.

 

Ottobre

L’ex sindaco di Roma, Ignazio Marino, viene assolto dalle accuse di truffa e peculato nell’inchiesta che aveva contribuito alla sua caduta dalla poltrona più alta del Campidoglio nell’ottobre 2015. Roberto Cota, ex governatore del Piemonte, viene assolto insieme ad altre quindici persone dall’accusa di truffa per le cosiddette “spese pazze” in regione (le famose mutande verdi). Continua a crollare il castello accusatorio del processo Mafia Capitale, con la richiesta, da parte della stessa procura romana, dell’archiviazione per 116 indagati. Ercole Incalza viene scagionato per la sedicesima volta, stavolta per associazione a delinquere e svariate altre accuse nell’inchiesta “Grandi opere”. La Corte d’appello di Perugia assolve, nel processo di revisione, il somalo Hasci Omar Hassan dall’accusa di avere partecipato all’omicidio della giornalista Ilaria Alpi e dell’operatore Miran Hrovatin nel 1994. Omar Hassan, che si è sempre proclamato innocente, ha scontato in carcere sedici dei ventisei anni che gli erano stati inflitti nel 2002. Vengono depositate, dopo un anno, le motivazioni della sentenza con cui Calogero Mannino è stato assolto nel processo con rito abbreviato sulla presunta trattativa stato-mafia: prove “inadeguate” ed “enorme suggestione mediatica”.

 

Novembre

Sandro Frisullo, ex vicepresidente della giunta regionale pugliese guidata da Nichi Vendola, viene assolto dopo sei anni dall’accusa di turbativa d’asta per presunti appalti truccati nel settore sanitario. Per questa vicenda aveva trascorso cinque mesi in carcere e agli arresti domiciliari.

 

Dicembre

La Cassazione annulla con rinvio la condanna nei confronti dell’ex governatore dell’Abruzzo, Ottaviano Del Turco, per associazione per delinquere nell’inchiesta sulla sanità abruzzese. La procura di Pavia apre una nuova inchiesta sull’omicidio di Chiara Poggi, per il quale è stato condannato in via definitiva Alberto Stasi, dopo le rivelazioni sull’individuazione di campioni di Dna appartenenti a un’altra persona sul corpo della vittima.

 

Edizione aggiornata del pezzo sull’Oneste Vivere

Nel mese di giugno dello scorso anno ho scritto alcune considerazioni sul tema dell’onestà.

Alla luce di eventi recenti che hanno messo al centro dell’agire non solo in politica, il tema dell’onestà, profilo soggettivo quest’ultimo che sembra stia solo da una parte ed essere appannaggio esclusivo solo di una fetta del paese, mi è parso opportuno riproporre il pezzo.  Esso affida alla riflessione di chi legge alcune considerazioni sulle quali sarebbe opportuno tornare più spesso senza gridare al diavolo e fare del bel paese la sola area dell’Ue  ove si leggono dati e notizie destrutturanti e scoraggianti. Non è cosi.

Per un approfondimento storico dei fatti del precedente ventennio si legga il testo di Guido Crainz ” Il paese reale”  dall’assassinio di Moro ad oggi; il ventennio  un pò di semina ha fatto e che ha generato frutti diventati endemici la cui estirpazione non può riguardare solo il popolo della politica, da tempo sotto una scure che ne sta ridimensionando il potere ( ed anche i livelli economici divenuti quasi risibili nel confronto con quelli di altre categorie  ), ma il sistema morale dell’intera società da ricostruire con un concerto di azioni lente e silenziose , non gridate, ma incisive soprattutto quando siano destinate a  scardinare interi processi sistemici di relazioni consolidate, culla di parassitismo e rendite.

D’altronde non vi è chi non veda che le aree indenni dalle accuse sono ridotte al lumicino ; diventa pertanto sempre più difficile, soprattutto per la politica, riportare tutto il sistema e tutti nel serraglio della normalità.

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Nel paese dove è inutile essere onesti: nel pezzo sull’Espresso dell’11 giugno 2015 Saviano scrive, assumendo che la politica è incapace di fare pulizia, che si arriva alle liste compilate con criteri discutibili. Conclude l’articolo dicendo che Corrado Alvaro ebbe a scrivere che la disperazione più grande che può impadronirsi della società sta nel dubbio che vivere onestamente è inutile.

Mi chiedo se non sia anche compito dei giornalisti e degli opinionisti ( tra questi naturalmente dovrebbe rientrare anche Saviano ) fare delle analisi più puntuali, evitando di cavalcare il tema, ed indicando ai lettori le differenze sostanziali tra il pluralismo democratico di oggi rispetto alla diversa governance culturale di un periodo, retrodatabile sino al 70/75, nel quale l’assenza nella società di strumenti di informazione pervasivi di fatto relegava la conoscenza delle notizie a pochi addetti, quasi sempre di testate giornalistiche manipolatrici della pubblica opinione ; notizie recitate peraltro senza controllo alcuno.

 La televisione come mezzo di diffusione era nella funzione divulgatrice pressochè insufficiente e forse anche imbavagliata; la rete web inesistente, i giornali molto più asserviti e strutturalmente funzionali alla politica o al potere ovunque si annidasse.

Tante notizie di reità e di malaffare rimanevano nell’ombra; passavano sotto silenzio o arrivavano in maniera distorta.

E poi non c’era l’uso giornalistico indiscriminato ed illegittimo, di oggi, delle notizie di reato frutto del passaggio del processo da inquisitorio ad accusatorio, passaggio che avrebbe dovuto tutelare il presunto reo e che invece lo ha messo immediatamente alla berlina mediatica con l’impiego distorto delle notizie da intercettazione che finiscono in prima pagina che però assiemano ed accomunano nelle vicende cittadini che solo a distanza di anni riusciranno ,poi, a dimostrare di essere fuori della mischia. I casi sono numerosissimi e si contano ormai a centinaio e verrebbe la voglia di citarne alcuni come momenti esemplari se non si corresse il rischio di andare fuori dal tema principale che è più limitato ma essenziale.

Si può, quindi, con sicura convinzione dire che gli onesti sono solo una minoranza nel paese e che tutto nella politica si riduce alla “sola politica del malaffare”?

E che tutta la politica viene portata avanti da persone deviate che per quanto significative nel numero non rappresentano giammai tutto il ceto categoriale nel quale, invece, operano persone impegnate, serie e determinate nella cura del bene collettivo?

Ad avviso di chi scrive è da rifiutare l’assioma della società dei disonesti di Alvaro, come della politica fatta solo da disonesti, non fosse altro per il fatto che la stragrande maggioranza del paese, composta da cittadini comuni e da politici comuni, può vivere solo di modesti e umili passi, di contributi incapaci di incidere ed anche incapaci di iniziative portatrici di disvalore.

C’è infatti una maggioranza silenziosa che opera e lavora, distribuita ed articolata cui forse si può e si deve addebitare una sola colpa e responsabilità: quella di essersi messa troppo in disparte, di non partecipare, di delegare tutto ai pochi che la guidano.

Si è finanche assunta gran parte di essa l’ulteriore ruolo dell’astensionismo inquadrabile nella categoria di coloro che non hanno tra le loro priorità il bene della società e dello stato e che si lavano le mani alla “Ponzio Pilato”.

C’era anche prima ma ora è cresciuta.

Pericle nel suo discorso sulla democrazia agli ateniesi (qualche annetto fa, circa 400 A.C.), e ce lo ha ricordato recentemente De Masi nel suo Omnia Mundi , ha detto dei cittadini che si disinteressano della politica che non sono persone pacifiche ma inutili per la società alla quale pure si aggrappano, disinteressandosene.

E’ onesto assentarsi e non sentire il dovere di indicare le proprie idee in politica ma partecipare solo indirettamente a tutte le conseguenze, nel bene e nel male, delle scelte operate dagli altri?

O è solo un modo ignavo per dire io non c’entro, mi tengo lontano, anche se poi le conseguenze delle decisioni altrui, come del voto, ricadono su tutti ed anche su chi si è messo sulla sponda del fiume.

 Si partecipa delle cose buone e per quelle non buone si dice: io non c’entro.

Il non voto non è una scelta della ragione ma di pancia; pesa sulle sorti della società, disorienta tutti e favorisce le formazioni del populismo, del qualunquismo e della rabbia. I cittadini silenziosi sono dei perfetti sudditi per un governo autoritario ma un disastro per una democrazia. (Robert Alan Dabl ).

Torniamo alla onestà di cui innanzi si è detto.

C’è in questo costante ritornello sull’onestà, anche di tanti politici , giornali , giornalisti e di tanti cittadini “moralisti” la predica dal pulpito ( è difficile vederli attivi nel ruolo di reali moralizzatori che è ben altro ); c’è una riscoperta dell’onestà in politica dimentichi di cosa sono stati e di  cosa hanno fatto ieri , dimentichi di tante incoerenze che sono sotto gli occhi di tutti, talvolta anche quando appare abbiano operato in tutt’altro senso, ( la lista è lunga e ci porterebbe lontano); c’è in questo refrain di  bandiera l’idea che ora essa, l’onestà, stia da una sola parte.

Mi verrebbe la voglia di fare delle citazioni specifiche sui singoli personaggi, oggetto di tanta pubblicistica dimenticata ed ignorata.  P revale in chi scrive il senso dell’equilibrio e non invece quello del fustigatore che non aiuterebbe.

C’è una sorta di narcisismo di opinione che tende a voler far coincidere chi scrive e chi ne parla (ormai ne parlano tanti anche a sproposito) con i moralizzatori (cioè con coloro che operano per moralizzare) ma sono solo potenziali moralisti; si sentono essi, sol perché ne parlano e ne scrivono i soli protagonisti del bene, ma sono solo moralisti d’occasione “con la parola e le opinioni “.

Alcune categorie, poi, sembrano santuari dell’onestà,  nata solo oggi pur essendo convissute con la storia degli ultimi vent’anni del nostro paese al cui precipitato hanno concorso tutti, nessuno escluso.

Una mano a questa scorribanda di idee la dà, poi, l’uso della rete per la quale, non a torto, un certo signor ECO ( che ci ha lasciato nel mezzo del cammino educativo ) tempo fa ebbe a dire ed a scrivere che essa ha dato spazio anche a chi nelle discussioni del bar, solo qualche anno fa, sarebbe stato messo da parte per la sua insulsaggine e superficialità.

Nessuno di quelli che parlano e scrivono di queste cose può essere misurato in concreto con cosa fa ed ha fatto e con i risultati della sua esistenza professionale e civile, sul campo ed in politica, e può essere valutato per i suoi comportamenti non solo di oggi ma anche di ieri; conta solo per quello che scrive e dice avendone modo ed occasione o pulpito in qualche talk show, espressione di lacrimatoi dove quelli che lacrimano hanno sempre ragione perché gli altri lavorano nella società solo per danneggiarli.

Evviva la democrazia e l’arte dell’apparire.

Chi invece legge, ascolta attraverso la lettura si purifica alla fonte dell’onestà raccontata pentendosi di non appartenere all’élite dell’ “oneste vivere” che purtroppo è cosa ben diversa da quella recitata e che invece si traduce in atti silenziosi di operosità quotidiana improntata alla correttezza del modus vivendi sempre ed in ogni occasione.

Mi pare possa essere questa una chiave di lettura più corretta, “oserei dire più onesta”.

Tutto ciò detto, naturalmente, vale non solo per i cittadini comuni ma anche e soprattutto per la politica, per tutti coloro che la praticano, per tutte le formazioni di destra e di sinistra ed anche per le formazioni populiste e di rabbia; per esse si potrebbe dire anche che per la giovinezza politica, per essere stati sempre ai margini talvolta anche sociali e fuori dal sistema, non hanno vissuto le condizioni e l’humus per diventare politicamente disonesti : non sono stati cioè ancora messi alla prova e non sono per definizione inattaccabili.

Guardare all’anagrafe, alla provenienza sociologica e professionale di tanti nuovi protagonisti della politica è certamente una apparente garanzia di purezza generazionale, ma non la garanzia che nel tempo le condizioni di contesto la manterranno intatta.

Va infine detto che la disonestà non è solo quella si materializza in comportamenti truffaldini, di rapina delle risorse dello stato e o della pubblica amministrazione, in comportamenti sleali e oggetto di disvalore giudiziario e penale. Non è qui il caso di elencare i diversi modi di articolazione della disonestà: sarebbe troppo facile una esemplificazione guardando alla nostra società.

Ma c’è poi una disonestà più profonda, pericolosa, perché ideologica che è quella che snatura il mandato politico (dell’ars politica) giacche far politica, come diceva Aristotele nella ponderosa opera dell’etica Nicomachea, significa occuparsi prioritariamente della cosa pubblica nel solo ed esclusivo interesse della collettività tutta, per il bene della gens patria.

Significa avere un disegno politico di cura delle cosa pubblica, del bene pubblico che è di tutti; un disegno praticabile, che non sta solo nella morsa del moralismo ad ogni costo, per ogni situazione, presentando come società migliore solo quella che rende giustizia in nome del giustizialismo, senza indicare poi soluzioni che valgono per tutti e per la società intera.

Ci sono diversi modi di essere onesti e disonesti e ci sono molti modi per essere di aiuto vero per la collettività: uno di questo sta anche nel dire la verità, nel comunicare con onestà, con lo scopo di rendere tutti  più consapevoli e capaci di assumere decisioni; decisioni non giuste in assoluto, perché non esistono decisioni giuste e non lo sarebbero mai per tutti, ma decisioni opportune e funzionali al momento, al contesto economico , politico e sociale del quadro nazionale ed internazionale che è un portato di anni di storia a cui hanno concorso tutti: la politica, i cittadini, la gens, la cultura, le relazioni internazionali, gli eventi della storia , insomma tutto e tutti.

Nessuno può ritirarsi dicendo io non c’ero. Purtroppo ci siamo stati tutti e ciascuno ha dato nel bene e nel male il suo apporto destruens e construens. E lo si dovrebbe misurare solo con i fatti e con i risultati.

E’ da qui che occorre ripartire non fuorviando il popolo non sempre attrezzato per comprendere tutto, più sensibile alle sollecitazioni che parlano alla pancia; è da qui che occorre responsabilmente iniziare per fare politica seria senza proporre il miraggio di soluzioni miracolistiche ed immediate e con la lusinga di difese ad oltranza di posizioni del tutto insostenibili.

Lo stato attuale delle cose è il portato di anni di inazioni e di cattive azioni in politica e nella società che ha smarrito valori e la bussola.

Quindi, per riprender lo spunto offerto dal giornale, scritto in un momento in cui si discuteva delle liste e dei politici incriminati,  si deve sostenere, contraddicendo ALVARO, che vivere “oneste” non è solo un dovere, non è solo un imperativo morale , è la condizione minima con la quale occorre incidere anche là dove quegli stessi principi di onestà non sono pane quotidiano, ricorrendo però molto meno alle parole e sostenendo con azioni concrete la società nelle difficoltà, soprattutto quando occorre, evitando esacerbazioni e indicando passi morali seri e concreti, fatti di azioni praticabili e realizzabili nell’interesse della intera comunità e senza steccati ideologici.

 Sarebbe questo un vero segnale di solidarietà nazionale non indebolito peraltro dalla difesa tout court, e ad ogni costo, dello stato individuale che si porta ed a cui si appartiene che tende a mettere al centro solo le proprie opinioni escludendo la società intera molto più complessa ed articolata.

L’economia della Campania nella pubblicazione della Banca d’Italia.

N. 15 – L’ECONOMIA DELLA CAMPANIA
Rapporto annuale, giugno 2014

Sommario dalla pagina della Banca d’Italia”

“Il 2013 è stato ancora un anno di recessione per la Campania, il sesto consecutivo; secondo le stime di Prometeia il PIL sarebbe diminuito del 2,7 per cento in volume, portando a oltre 13 punti percentuali il calo cumulato dall’avvio della crisi. Gli indicatori congiunturali hanno tuttavia smesso di peggiorare nel corso dell’anno: le imprese che hanno partecipato alle indagini campionarie della Banca d’Italia segnalano, in media, un arresto della caduta del fatturato nel 2013 e previsioni di moderata crescita per il 2014.

I segnali di ripresa risultano più diffusi nell’industria, deboli nel comparto dei servizi, assenti in quello edilizio. Nel settore industriale, il fatturato è aumentato soprattutto per le imprese con elevata propensione all’export e gli investimenti hanno mostrato una dinamica migliore rispetto agli anni recenti, seppure limitatamente alle aziende di maggiore dimensione.

Nell’edilizia, il calo di attività è stato più netto per le imprese fortemente dipendenti dalla domanda di opere pubbliche. Il settore dei servizi continua a risentire della riduzione dei consumi, solo in piccola parte compensata dalla tenuta della spesa dei turisti stranieri; lo scorso anno, più del 60 per cento delle famiglie campane ha giudicato inadeguate le proprie risorse economiche, oltre 20 punti percentuali sopra la media italiana: il dato riflette soprattutto l’alta disoccupazione e la debolezza dei salari. Vi contribuisce anche un carico fiscale che, nelle componenti legate all’autonomia impositiva degli enti locali, è superiore alla media nazionale.

Nel 2013 l’occupazione è calata di quasi l’uno per cento, nonostante la tenuta del comparto industriale. Il numero di persone occupate si situa ampiamente al di sotto del livello precedente l’avvio della crisi (-8,5 per cento sul 2007; -3,5 per cento in Italia). La ricerca attiva di lavoro continua a estendersi a fasce sempre più ampie di popolazione: lo scorso anno le persone in cerca di occupazione, pur decelerando, hanno superato le 400.000 unità. Il loro livello, come nel resto d’Italia, è pari al doppio di quello del 2007. Si è ancora ampliata, superando il 40 per cento del totale, la quota di giovani tra i 15 e i 34 anni non occupati e non coinvolti in alcuna esperienza formativa.

Nel mercato del credito la dinamica dei prestiti è rimasta negativa e si sono acuite le difficoltà di rimborso: alla fine del 2013 oltre un terzo dei prestiti erogati alle piccole imprese campane e circa un quarto di quelli erogati alle medio-grandi imprese erano classificati in sofferenza. Secondo gli intermediari bancari, la domanda di credito finalizzata al finanziamento degli investimenti è ancora diminuita, mentre è cresciuta la componente connessa alle esigenze di ristrutturazione del debito. Le banche e le imprese intervistate hanno segnalato una lieve attenuazione della restrizione nelle condizioni di accesso al credito: può avervi contribuito una migliorata situazione di liquidità, favorita anche dal rimborso dei crediti commerciali verso la Pubblica amministrazione.

Nel 2013 si è intensificato il calo dei prestiti alle famiglie; la maggiore contrazione ha riguardato sia il credito al consumo sia quello destinato all’acquisto di abitazioni. Durante la crisi è nettamente calata la quota di credito al consumo finalizzata all’acquisto di beni durevoli mentre è aumentata quella non finalizzata a specifiche spese, come i prestiti che prevedono la cessione del quinto dello stipendio e i prestiti personali.

Negli ultimi sei anni, in base alle stime di Prometeia, la riduzione del PIL campano è stata di quasi 5 punti percentuali superiore alla media italiana. Il divario si è manifestato soprattutto a partire dal 2010, in corrispondenza della ripresa della domanda estera e dell’accentuarsi della contrazione fiscale; esso si correla alla minore apertura dell’economia regionale al commercio estero e alla sua maggiore dipendenza dalla spesa pubblica.

Un più tempestivo utilizzo delle disponibilità finanziarie provenienti dai Fondi strutturali dell’Unione europea avrebbe potuto attenuare gli effetti del calo della domanda interna. Il rispetto degli ambiziosi obiettivi di potenziamento della competitività dell’economia regionale, programmati all’avvio del ciclo 2007-2013, ne avrebbe oggi rafforzato le prospettive di ripresa. Durante gli anni duemila, secondo le rilevazioni censuarie dell’Istat, il numero degli addetti alle imprese e alle istituzioni ubicate in Campania è cresciuto a ritmi inferiori rispetto al precedente decennio e meno che nella media italiana. Il divario con il resto del Paese è spiegato dal più severo impatto della crisi e dalla più intensa riduzione di addetti alle istituzioni pubbliche.

Sono tuttavia comparsi alcuni indizi di innovazione nella struttura economica regionale: il settore manifatturiero si è contratto, ma al suo interno sono aumentati sia l’incidenza delle imprese a più elevata intensità tecnologica sia la loro dimensione media. La quota di aziende esportatrici resta molto inferiore al dato italiano, ma è tornata a crescere nel periodo della crisi, così come l’incidenza delle esportazioni sul valore aggiunto industriale e complessivo. Anche se lievemente, si è ridotta la dipendenza dell’economia regionale dalla domanda pubblica.
Negli anni recenti, il calo nella spesa e nell’indebitamento degli enti locali non si è sempre associato a una peggiore qualità dei servizi. In talune aree dell’assistenza sanitaria e nel campo della gestione dei rifiuti si rileva un avvicinamento agli standard di servizio nazionali. Si tratta di progressi ancora insufficienti che vanno rafforzati ed estesi ad altri rilevanti settori. Aumentare la competitività del sistema universitario campano, oggi mediamente bassa, favorirebbe l’accumulazione di capitale umano, con effetti rivelanti sulla produttività e l’attività innovativa delle imprese e, per tali vie, sul potenziale di crescita economica della regione”

Questa la sintesi del volume pubblicato dalla banca d’Italia sulla economia della Campania nel 2013.

Il volume e’ l’ultimo delle pubblicazioni relative alle regioni e costituisce uno spaccato severo delle criticita’ presenti sul nostro territorio in specie per quanto attiene il sistema del credito, la cui entità è anche funzione del tessuto del sommerso e della economia criminale.
Un impatto non minore sugli effetti recessivi sta derivando, infin , anche dalle attività di controllo oltre che delle azioni di polizia giudiziaria. Mano a mano che le maglie si stringono fanno cadere sul campo aziende che sono costrette a ridurre il loro giro di affari ed a ridurre anche l’apporto del lavoro sommerso.
In una economia, che del sommerso sinora si è avvalsa e che costituisce in parte l’ancora di sfogo alla assenza di aziende medio grandi, queste incisive novità sono un fattore di rallentamento anche per lo sviluppo dei dati del credito. Un esempio? Basta guardare ai numeri dell’edilizia in nero degli anni passati che hanno fatto indossare alla Campania la maglia del primo della classe nel fenomeno delle unità immobiliari non accatastate e non note al fisco ed alla Agenzia del territorio. Quel fenomeno appare oggi più sotto controllo.
Viene il tempo e il momento del rispetto delle regole e delle leggi che quando eluse favoriscono solo aree non legali della società. Tutto ciò, in uno anche con le nuove regole della tracciabilità, che nel nostro territorio hanno determinato un freno non lieve alla circolazione delle masse monetarie piccole e grandi, dà luogo ad un fenomeno sul quale riflettere per indurre il sistema a valutare le conseguenze iniziali connesse al recepimento graduale di vaccini nuovi dati dal progressivo adeguamento delle regole.
La lettura di alcuni testi presenti sul sito della Banca d’Italia, sotto ripresi in sintesi, proprio sulle cause del freno allo sviluppo e del freno al credito nelle nostre regioni dovrebbe indurre ad individuare controindicazioni temporanee per mitigare effetti specifici del nostro territorio che si aggiungono a quelli delle insufficienze primarie connesse all’economia ed ai mercati comuni a tutto il territorio nazionale.

Tema di discussione n. 868, aprile 2012 Paolo Pinotti Università Bocconi e Banca d’Italia
I COSTI ECONOMICI DELLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA: EVIDENZE DALL’ITALIA MERIDIONALE

“Il lavoro analizza la relazione tra criminalità organizzata e sviluppo economico in Italia dal dopoguerra a oggi. Come principale indicatore della presenza di organizzazioni criminali si utilizzano le denunce per associazione a delinquere di stampo mafioso (art. 416 bis del codice penale) in rapporto alla popolazione.
Tali dati evidenziano che, all’interno dello stesso Mezzogiorno, coesistono regioni alquanto diverse in termini di radicamento e dinamica della criminalità organizzata. Mentre le organizzazioni mafiose condizionano lo sviluppo di Sicilia, Campania e Calabria sin dal periodo preunitario, la loro presenza in Puglia e Basilicata si intensifica solo negli ultimi decenni del secolo scorso, a seguito di una serie di avvenimenti in larga parte indipendenti dal contesto socio-economico delle due regioni e riconducibili piuttosto alla contiguità territoriale con le aree di tradizionale insediamento. Il lavoro utilizza questa discontinuità temporale per identificare i costi economici imposti dalla criminalità organizzata. omissis

In particolare, si confronta la serie storica del PIL pro-capite effettivamente osservato in Puglia e Basilicata dal dopoguerra a oggi con la media ponderata della stessa variabile nelle regioni italiane in cui la presenza delle organizzazioni criminali non ha assunto carattere endemico. Omissis

Tema di discussione n. 646, novembre 2007

L’ECONOMIA SOMMERSA COME FRENO ALLO SVILUPPO FINANZIARIO: INDICAZIONI DAL MERCATO DEL CREDITO IN ITALIA
Giorgio Gobbi (Banca d’Italia) e Roberta Zizza (Banca d’Italia) abstract

“L’esclusione dai mercati finanziari ufficiali è annoverata tra i costi che ricadono sulle imprese appartenenti al settore informale. Per accedere ai mercati creditizi, infatti, gli imprenditori devono trasmettere agli intermediari informazioni credibili sulla loro attività. L’assenza di un’adeguata documentazione contabile, o anche soltanto una sua contraffazione nel caso di unità parzialmente regolari, ostacola il reperimento di finanziamenti esterni.

Analogamente, i lavoratori irregolari incontrano difficoltà a documentare la loro capacità di sostenere gli oneri derivanti dall’accensione di un mutuo o dal ricorso al credito al consumo. Anche la diffusione di altri servizi bancari, quali l’utilizzo di mezzi di pagamento diversi dal contante, è minore in aree contrassegnate da un’elevata incidenza dell’economia sommersa.
La bassa domanda di servizi finanziari indotta dal ricorso al lavoro irregolare può frenare l’espansione delle strutture di offerta, come ad esempio l’apertura di sportelli bancari, e limitare il numero di operatori presenti sul mercato, con ripercussioni negative anche sul settore regolare dell’economia.
Questo lavoro fornisce una stima dell’impatto delle attività sommerse sul volume dei prestiti, utilizzando dati relativi ai mercati locali del credito in Italia nel periodo 1995-2003
I risultati confermano l’esistenza di una correlazione fortemente negativa, a livello regionale e provinciale, tra l’incidenza del credito sul valore aggiunto e il peso del lavoro irregolare nel settore privato. La dimensione dell’economia sommersa ha un impatto negativo sia sul volume di finanziamenti alle imprese, sia sui prestiti concessi alle famiglie. A un aumento di un punto percentuale della quota dell’occupazione irregolare su quella totale corrisponde un calo di circa due punti percentuali del rapporto tra il credito alle imprese e il valore aggiunto e di circa 0,3 punti percentuali dell’analogo rapporto calcolato utilizzando il credito alle famiglie. Risultati simili si ottengono per i prestiti concessi dalle società finanziarie specializzate nel leasing, nel factoring e nel credito al consumo.
. Le stime econometriche indicano che le decisioni di entrata delle banche in un mercato locale del credito, misurate in termini di apertura di nuovi sportelli, sono influenzate dalla diffusione del lavoro irregolare. Una diminuzione del tasso di occupazione irregolare di un punto percentuale si tradurrebbe in media in circa tre nuovi sportelli per provincia”

Dal volume “Mezzogiorno e Politiche Regionali” seminario 2009
LEGALITÀ E CREDITO:DISECONOMIE AMBIENTALI
5. Legalità e credito: l’impatto della criminalità sui prestiti alle imprese
Emilia Bonaccorsi di Patti ………………………………………………………………………………….. 165 e seguenti.
• http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/ecore/2014/analisi_s-r/1415_campania
o Testo pdf 3 MB

Il Convegno sulla corruzione del Gruppo Legalità della Chiesa del Gesu

Guarire dalla corruzione: incontro/ dibattito

A chiusura delle iniziative dell’anno il “Gruppo Legalità”, del Centro Culturale della Chiesa del Gesù Nuovo (vedi www.gesunuovo.it ), ha organizzato per il giorno 13 prossimo il convegno che si terrà nell’annessa sala Valeriano ; sarà questo l’ultimo di una serie di incontri nei quali sono state sono affrontate e dibattute delicate tematiche con lo scopo di dare un contributo alla società civile ed anche alla nostra città.

Della “corruzione” tema del momento, per le vicende che ogni giorno si leggono e che disgustano la opinione pubblica, gli onesti e i benpensanti, parleranno autorevoli civils servants portatori di idee qualificate capaci di affrontare un argomento a cui la politica da anni non riesce a dare una svolta definitiva e per il quale non riesce a rassicurare non solo i suoi cittadini ma anche i paesi dell’Europa e di oltre oceano.

La “corruzione” non è solo questione di legislazione, condizione peraltro da anni sollecitata all’Italia da istituzioni mondiali ed europee ( ONU, FMI, Commissione Europea etc ), ma soprattutto di approccio culturale e morale della società che deve recuperare i valori della normalità e dell’etica a fondamento del contesto ambientale e socio economico nel quale devono muoversi gli apparati della pubblica amministrazione , quelli delle imprese e i cittadini tutti; nel quale occorre interagire ed operare alla luce del sole e con trasparenza.

Non sono bastati né bastano i codici etici adottati dalle organizzazioni di categoria d’impresa e delle professioni, né sembrano aver eretto argini idonei alcune legislazioni speciali e le più che elefantiache strutture di governance disseminate in ogni dove che pesano sui conti economici delle aziende e della pubblica amministrazione.

Il contrasto più determinato alla sua diffusione è stato solo di recente la conseguenza di forti ed incisive iniziative giudiziarie che hanno sollevato l’indignazione della pubblica opinione.

Non è un caso che il titolo del convegno sia stato focalizzato sulla parola “guarigione”, sulla guarigione cioè da un morbo, da una malattia endemica che prima di essere un elemento di debolezza strutturale del sistema politico è il sintomo di un malessere diffuso della società contaminata da anni di malcostume e di cattivi esempi non solo della politica.

Non vi è giorno dell’anno in cui le cronache giornalistiche e televisive non siano costrette a trattare vicende di malaffare.

La corruzione Inquina l’economia, i rapporti sociali, incide sulla valutazione che dell’Italia si fa da parte dei mercati internazionali, tanto da relegare il nostro paese da anni nei posti di retroguardia nella graduatoria della “Trasparency International” ( nel 2011 al 69 posto ) e da disincentivare gli investimenti dei fondi e delle imprese dei paesi esteri preoccupati della gestione di una complessità che, pur presente anche nei loro contesti, è però da noi a livelli a dir poco inaccettabili. Gli investimenti esteri in Italia hanno raggiunto il punto più basso, dopo l’anno mirabilis del 2007 in cui riuscimmo ad aggiudicarci 44 miliardi di risorse.

Il convegno arriva a valle del secondo anno di impegno del “ Gruppo Culturale ” che ha fatto della legalità e dei messaggi necessari ad suo ripristino un obiettivo che, come si capisce dalla locandina, è anche culturale, informativo e formativo, da diffondere tra i giovani, da far coltivare persino con lo studio e l’approfondimento di materie e discipline ad essa funzionali e persino nelle aule universitarie. Nella facoltà di Economia si è al secondo anno di corsi specifici sul tema della legalità organizzati dal Prof. Vona.

La presenza dell’ex Rettore dell’Università della Federico II, Prof Marrelli, cultore da sempre della materia, il profilo del Magistrato Cantone , che non ha bisogno di presentazione e che, a ragione del suo percorso professionale e del suo impegno di magistrato sul fronte della lotta alla criminalità , oggi ricopre la carica più importante nella Autority dell’Anticorruzione, la presenza del Vice Presidente della Camera dei deputati de Maio, portatore all’interno del gruppo in cui politicamente milita dei valori della legalità, danno all’incontro un significato ed un risalto particolare.

Ad introdurre il tema sarà Padre Liberti, che del gruppo legalità, in ragione della sua mission pastorale, è vivace e saggio stimolatore; a coordinare l’interessante parterre concorrerà il giornalista di SkyTV Chiariello, a concludere i lavori il Magistrato Conzo della DDA della Procura di Napoli, anch’egli strenuamente impegnato sul fronte della lotta alla criminalità organizzata.

Non è questa la sede per dare notizie tecniche ; qualche dato può però accendere stimoli e curiosità. Nel 2012 l’Italia è passata dal 69 al 72 posto nella graduatoria della Corruption Perception Index di Transparency International, dopo il Ghana e la Macedonia. Analoga percezione è espressa dagli indicatori della Banca Mondiale (Rating of control of corruption RCC). In circa 60 miliardi di euro all’anno vengono stimati dalla Corte dei Conti i danni economici arrecati alla Pubblica amministrazione dalla corruzione (relazione anno giudiziario 2012); nel 16% è stata stimata la perdita degli investimenti dall’estero negli ultimi 5 anni.

Il presidente del Senato Grasso al suo primo giorno di mandato parlamentare ha depositato un disegno di legge in materia di corruzione, voto di scambio, falso in bilancio e riciclaggio con questa introduzione : “Onorevoli Senatori, la lotta alla corruzione è diventata una priorità nelle agende politiche internazionali, anche per effetto della profonda crisi che coinvolge le più avanzate economie mondiali: il diffondersi delle prassi corruttive, minando la fiducia dei mercati e delle imprese, determina, tra i suoi molteplici effetti, una perdita di competitività.. omissis”.

Pur dopo la adozione nel 2012 da parte del Governo Monti di una normativa generale egli ha sentito ed avvertito l’esigenza di concorrere alla risoluzione di in tema politico primario; nella sua funzione di magistrato inquirente e nella successiva posizione di Procuratore Nazionale Antimafia he speso energie su singole situazioni, senza poter incidere più di tanto a livello generale .

Viene da chiedersi come mai non sia stato possibile affrontare, nel ventennio della seconda Repubblica, la cura radicale di una malattia che sembrava debellata agli inizia degli anni 90. Certamente il Convegno potrà dare tante risposte . Una cosa è certa: è ora di voltare pagina. Parlarne e dibatterne è solo un buon inizio di terapia.

locandina 2

Federico d’aniello