Raccolta di opinioni, giudizi ed altro sulla italianità.

Raccolta di note e riflessioni espunte da letture che dicono tanto e sulle quali occorrerebbe riflettere e far riflettere il cosiddetto “POPOLO” e non solo……………………..( e cioè politica , borghesia ,intellettuali, giornali, opinionisti etc etc.)

Un testo guida quello di AUGIAS “ Segreti di Italia”.

Pacique imponere morem, parcere subiectis, debellare superbos.

I romani governeranno il mondo con la sapienza delle leggi, così come Anchise predisse ad Enea quando profetizzò i grandi uomini che nasceranno dalla sua discendenza.

Il bel paese ch’appenin parte e ‘l mar circonda e l’Alpe di Petrarca

Il viaggio non consiste nel veder nuove terre ma nell’aver nuovi occhi di Marcel Proust.

Il giudizio sugli Italiani dell’Università di Princeton: artistic, impulsive, passionate 

ed ancora del prof Ponza , economista che insegna in Inghilterra , così sintetizzato: da una faccia della medaglia c’è l’Italia dall’altra gli italiani, razza geniale, ma corrotta, inaffidabile e licenziosa. 

La forza dei pregiudizi e già viva in un anglista, Franz, nel suo saggio : Scoperta dell’Italia.

“Non sarà così  ma è come ci vedevano e forse ci vedono gli altri”

I viaggiatori del grand tour sono stati tutti molto duri tranne eccezioni, esempio Goeth

Insomma nell’Ottocento l’Italia veniva apprezzata solo per il clima, il sole e per le sue affascinanti rovine. 

Persino Marcel Proust scriveva: la terra dei barbari non è quella che non ha mai conosciuto l’arte ma quella che, disseminata di capolavori, non sa ne’ apprezzarli ne conservarli

Sthendal ha parlato di ebrietà morale al più alto grado, di ubriachezza morale.

Molti osservatori tendono a considerare permanente quella condizione di ebrieta’, perché insita nel carattere italico distinguendo anche tra uomini del Nord e uomini del Sud verso i quali il giudizio è stato sempre più severo. 

D’altro canto il racconto di Federico Fellini nella dolce vita ne è una riprova.

Ma sulla stessa linea tanti film del dopoguerra e del realismo.

Thomas Mann poi traccia un giudizio netto sulle differenze tra il popolo italiano e quello tedesco.

Gli Italiani si sono sbarazzati del loro grande uomo per concedere poco dopo al mondo ciò che si pretende anche da noi e cioè la resa incondizionata; noi, dice Thomas Mann , siamo un popolo diverso, un popolo dall’anima tragica contrario alle cose prosaiche e consuete; tutto il nostro amore va al destino, un destino che sia magari la rovina che infiamma il cielo con la rossa vampa di un crepuscolo degli dei.

Vedi il film sulla caduta degli DEI

La dimensione tragica e’quella che manca ed è mancata nella storia dell’italiano

Non è detto che la vocazione tragica sia una qualità, ma di certo la percezione ironica del carattere italiani dice quello che gli altri pensano di noi.  

Volendo contestualizzare si può ben dire che in Italia la condizione ironica e non tragica fa nascere anche i partiti del qualunquismo, movimenti sul nulla, ed associazioni simil politiche parto della mente di un giullare e di un comico, prendendone addirittura il nome.

È’ proprio vero; queste considerazioni meriterebbero un ampio approfondimento.

Veniamo ricordati difatti nella storia più per la sconfitta di Caporetto che non per la difesa e di El Alamein dove ci fu un comportamento eroico.

I luoghi comuni, giusti o ingiusti che siano, ci hanno sempre accompagnato.

Helmuth Schmidt disse che i carrarmati italiani hanno quattro marce come gli altri però una va avanti e le altre tre indietro. 

A proposito della disgraziata guerra di Grecia voluta da Mussolini Winston Churchill disse: l’ultimo esercito d’Europa ha battuto il penultimo.

Il comandante inglese della spedizione aereonavale nelle Falkland Malvinas   a chi gli chiedeva un pronostico sullo scontro rispose: se sono di origine spagnola resisteranno, se di origine italiana fuggiranno.

Der Spiegel, giornale tedesco, ha scritto a proposito del disastro dell’isola del giglio: cosa c’è da meravigliarsi che il comandante della Concordia fosse un italiano? 

Per poi arrivare, lo stesso giornale, alla crisi dell’euro assumendo che la crisi della valuta dell’Euro dimostra quanto per motivi politici valga la psicologia dei popoli e nel particolare caso quella degli Italiani.

Wolfgang Schauble ministro democristiano del governo Kohl ebbe a dire del suo paese: dobbiamo far parte di una struttura sovranazionale che sia in grado di tenere a freno il demone che scuote il nostro popolo. 

Noi, invece, per vent’anni abbiamo avuto un capo di governo che ha osato presentarsi in pubblico con il volto tirato dal chirurgo, coperto da un cerone cinematografico, con capelli finti e tacchi ortopedici. 

Una maschera da melodramma o da comico di avanspettacolo che ovunque nel mondo l’avrebbe fatto precipitare nel ridicolo.

In Italia al contrario gli ha assicurato a lungo la vittoria.

Forse di tanto in tanto occorre riflettere su questi giudizi che anche nostri illustri pensatori, Dante, Leopardi per citarne alcuni, hanno espresso

Giudizi che gli uomini di buon senso hanno però il dovere morale di far modificare costruendo gli argini quando è possibile e contribuendo alla resipiscenza quando questa ha la natura per emendare gli uomini e la società.

Negli altri casi sarà bene che quei costumi si scontrino con la dura realtà, ne paghino  il fio, se le vie della conoscenza e della ragionevolezza non dovessero diventare vie maestre.

A conforto va anche detto che una gran parte degli Italiani non rientra nel quadro descrittivo delle peggiori virtù ma in quello dei buoni valori, intrisi di sentimenti ed ideali,

Noi siamo da secoli calpesti e derisi perché non siam popolo perché siamo divisi. Mameli

Hai serva Italia di dolore ostello nave senza nocchiere in gran tempesta non donna di provincia ma bordello. Canto Sesto purgatorio con Sordello da Mantova Invettiva contro la divisione degli Italiani 

Ed è su questa parte che va costruita la nazione.

Su questo tema si potrebbe anche utilizzare il testo di Benedetto Croce Il paradiso abitato dai diavoli per trarre utili stimoli per un ammonimento per la società nazionale.

Benedetto Croce ricorda che su Napoli le valutazioni negative iniziano sin dal 1673 nel dizionario del Morelli, e ancora ricorda che sin dal 1539 tal Bernardino Daniello scrive:” io pur venne a Napoli gentile, da bene il cui sito a me pare meraviglioso e il più bello che io vedessi mai, perché io non ho mai veduto città ch’abbia da l’un dei lati il monte e dall’altro la batti il mare come fa questa ed anche per le sue altre particolarità che tutte insieme e ciascuna per sé lo fanno guarire mirabile ma perché dovete sapere che la natura non vuole che si convien per far ricco uno gli altri sian in povertà .

E quando l’ebbe molte delle sue doti più care concedute le parve di restringere la mano affinché l’altra città non li mandassero ambasciatori a dolersi con esso lei di tanta parzialità e propose fra se stessa di dare questo paradiso ad abitare al diavoli e così come aveva proposto mandò ad effetto”

Napoli sarebbe un paradiso e per riequilibrare quando non avevano avuto gli altri viene riempita di diavoli. Nelle pagine successive Croce ricorda tutte le attività e le iniziative anche di natura accademica dalle quali il regno di Napoli viene travolto, con ingiurie, con cattive considerazioni tanto che viene fatta oggetto già nel 1707 da oratorie e poetica all’università di Altdorf “si parla di questo regno Neapolitano paradisus est a diabolis habitatus ulterius esplicatum”

ll discorso comincia a ricordare la terra fortunata elegantissima per natura, che Capua la deliziosa ammolli Annibale, si passa a ricordare con lingua tremebonda quanti napoletani erano facinorosi, che l’inferno non escogitò nessuno scelleratezza di cui cotesta nazione di uomini non si sia bruttata.

Sino all’anno 1632 ci sono contatti 54 ribellioni; che i napoletani siano giudicati pessimi tra i pessimi vi è piena conferma che riceve dai fatti la verità del proverbio universalmente ripetuto .

Ma Benedetto Croce di Napoli era fortemente innamorato e ricorda che, per quando l’antico proverbio non risponda a verità sebbene sia uscito di moda e sia caduto in dimenticanza perché, non risponde più al sentire odierno e non risponde anche per tante altre ragioni perché la realtà è ben diversa dalle considerazioni insite nel pensiero del diavolismo napoletano.

Pur tuttavia egli dice ancora oggi accettiamo senza proteste che ce lo dicano, e che ce lo dica lo straniero con gli altri italiani, ma se ce lo diciamo noi a noi stessi è perché stimiamo che esso valga da sferza, da pungolo e concorra mantenere viva in noi la coscienza di quello che è il nostro dovere

Sotto questo aspetto ci importa poco ricercare fino a quel punto detto proverbiale sia vero giovandoci tenerlo verissimo per far sì che sia sempre men vero.

Quindi Croce conviene che i napoletani come anche gli Italiani sentano sempre forte lo stimolo a non abbassare il livello morale e la misura della dignità come a non limitare la misura della vera cittadinanza.

Sarà poi vero ed è possibile.

Edizione aggiornata del pezzo sull’Oneste Vivere

Nel mese di giugno dello scorso anno ho scritto alcune considerazioni sul tema dell’onestà.

Alla luce di eventi recenti che hanno messo al centro dell’agire non solo in politica, il tema dell’onestà, profilo soggettivo quest’ultimo che sembra stia solo da una parte ed essere appannaggio esclusivo solo di una fetta del paese, mi è parso opportuno riproporre il pezzo.  Esso affida alla riflessione di chi legge alcune considerazioni sulle quali sarebbe opportuno tornare più spesso senza gridare al diavolo e fare del bel paese la sola area dell’Ue  ove si leggono dati e notizie destrutturanti e scoraggianti. Non è cosi.

Per un approfondimento storico dei fatti del precedente ventennio si legga il testo di Guido Crainz ” Il paese reale”  dall’assassinio di Moro ad oggi; il ventennio  un pò di semina ha fatto e che ha generato frutti diventati endemici la cui estirpazione non può riguardare solo il popolo della politica, da tempo sotto una scure che ne sta ridimensionando il potere ( ed anche i livelli economici divenuti quasi risibili nel confronto con quelli di altre categorie  ), ma il sistema morale dell’intera società da ricostruire con un concerto di azioni lente e silenziose , non gridate, ma incisive soprattutto quando siano destinate a  scardinare interi processi sistemici di relazioni consolidate, culla di parassitismo e rendite.

D’altronde non vi è chi non veda che le aree indenni dalle accuse sono ridotte al lumicino ; diventa pertanto sempre più difficile, soprattutto per la politica, riportare tutto il sistema e tutti nel serraglio della normalità.

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Nel paese dove è inutile essere onesti: nel pezzo sull’Espresso dell’11 giugno 2015 Saviano scrive, assumendo che la politica è incapace di fare pulizia, che si arriva alle liste compilate con criteri discutibili. Conclude l’articolo dicendo che Corrado Alvaro ebbe a scrivere che la disperazione più grande che può impadronirsi della società sta nel dubbio che vivere onestamente è inutile.

Mi chiedo se non sia anche compito dei giornalisti e degli opinionisti ( tra questi naturalmente dovrebbe rientrare anche Saviano ) fare delle analisi più puntuali, evitando di cavalcare il tema, ed indicando ai lettori le differenze sostanziali tra il pluralismo democratico di oggi rispetto alla diversa governance culturale di un periodo, retrodatabile sino al 70/75, nel quale l’assenza nella società di strumenti di informazione pervasivi di fatto relegava la conoscenza delle notizie a pochi addetti, quasi sempre di testate giornalistiche manipolatrici della pubblica opinione ; notizie recitate peraltro senza controllo alcuno.

 La televisione come mezzo di diffusione era nella funzione divulgatrice pressochè insufficiente e forse anche imbavagliata; la rete web inesistente, i giornali molto più asserviti e strutturalmente funzionali alla politica o al potere ovunque si annidasse.

Tante notizie di reità e di malaffare rimanevano nell’ombra; passavano sotto silenzio o arrivavano in maniera distorta.

E poi non c’era l’uso giornalistico indiscriminato ed illegittimo, di oggi, delle notizie di reato frutto del passaggio del processo da inquisitorio ad accusatorio, passaggio che avrebbe dovuto tutelare il presunto reo e che invece lo ha messo immediatamente alla berlina mediatica con l’impiego distorto delle notizie da intercettazione che finiscono in prima pagina che però assiemano ed accomunano nelle vicende cittadini che solo a distanza di anni riusciranno ,poi, a dimostrare di essere fuori della mischia. I casi sono numerosissimi e si contano ormai a centinaio e verrebbe la voglia di citarne alcuni come momenti esemplari se non si corresse il rischio di andare fuori dal tema principale che è più limitato ma essenziale.

Si può, quindi, con sicura convinzione dire che gli onesti sono solo una minoranza nel paese e che tutto nella politica si riduce alla “sola politica del malaffare”?

E che tutta la politica viene portata avanti da persone deviate che per quanto significative nel numero non rappresentano giammai tutto il ceto categoriale nel quale, invece, operano persone impegnate, serie e determinate nella cura del bene collettivo?

Ad avviso di chi scrive è da rifiutare l’assioma della società dei disonesti di Alvaro, come della politica fatta solo da disonesti, non fosse altro per il fatto che la stragrande maggioranza del paese, composta da cittadini comuni e da politici comuni, può vivere solo di modesti e umili passi, di contributi incapaci di incidere ed anche incapaci di iniziative portatrici di disvalore.

C’è infatti una maggioranza silenziosa che opera e lavora, distribuita ed articolata cui forse si può e si deve addebitare una sola colpa e responsabilità: quella di essersi messa troppo in disparte, di non partecipare, di delegare tutto ai pochi che la guidano.

Si è finanche assunta gran parte di essa l’ulteriore ruolo dell’astensionismo inquadrabile nella categoria di coloro che non hanno tra le loro priorità il bene della società e dello stato e che si lavano le mani alla “Ponzio Pilato”.

C’era anche prima ma ora è cresciuta.

Pericle nel suo discorso sulla democrazia agli ateniesi (qualche annetto fa, circa 400 A.C.), e ce lo ha ricordato recentemente De Masi nel suo Omnia Mundi , ha detto dei cittadini che si disinteressano della politica che non sono persone pacifiche ma inutili per la società alla quale pure si aggrappano, disinteressandosene.

E’ onesto assentarsi e non sentire il dovere di indicare le proprie idee in politica ma partecipare solo indirettamente a tutte le conseguenze, nel bene e nel male, delle scelte operate dagli altri?

O è solo un modo ignavo per dire io non c’entro, mi tengo lontano, anche se poi le conseguenze delle decisioni altrui, come del voto, ricadono su tutti ed anche su chi si è messo sulla sponda del fiume.

 Si partecipa delle cose buone e per quelle non buone si dice: io non c’entro.

Il non voto non è una scelta della ragione ma di pancia; pesa sulle sorti della società, disorienta tutti e favorisce le formazioni del populismo, del qualunquismo e della rabbia. I cittadini silenziosi sono dei perfetti sudditi per un governo autoritario ma un disastro per una democrazia. (Robert Alan Dabl ).

Torniamo alla onestà di cui innanzi si è detto.

C’è in questo costante ritornello sull’onestà, anche di tanti politici , giornali , giornalisti e di tanti cittadini “moralisti” la predica dal pulpito ( è difficile vederli attivi nel ruolo di reali moralizzatori che è ben altro ); c’è una riscoperta dell’onestà in politica dimentichi di cosa sono stati e di  cosa hanno fatto ieri , dimentichi di tante incoerenze che sono sotto gli occhi di tutti, talvolta anche quando appare abbiano operato in tutt’altro senso, ( la lista è lunga e ci porterebbe lontano); c’è in questo refrain di  bandiera l’idea che ora essa, l’onestà, stia da una sola parte.

Mi verrebbe la voglia di fare delle citazioni specifiche sui singoli personaggi, oggetto di tanta pubblicistica dimenticata ed ignorata.  P revale in chi scrive il senso dell’equilibrio e non invece quello del fustigatore che non aiuterebbe.

C’è una sorta di narcisismo di opinione che tende a voler far coincidere chi scrive e chi ne parla (ormai ne parlano tanti anche a sproposito) con i moralizzatori (cioè con coloro che operano per moralizzare) ma sono solo potenziali moralisti; si sentono essi, sol perché ne parlano e ne scrivono i soli protagonisti del bene, ma sono solo moralisti d’occasione “con la parola e le opinioni “.

Alcune categorie, poi, sembrano santuari dell’onestà,  nata solo oggi pur essendo convissute con la storia degli ultimi vent’anni del nostro paese al cui precipitato hanno concorso tutti, nessuno escluso.

Una mano a questa scorribanda di idee la dà, poi, l’uso della rete per la quale, non a torto, un certo signor ECO ( che ci ha lasciato nel mezzo del cammino educativo ) tempo fa ebbe a dire ed a scrivere che essa ha dato spazio anche a chi nelle discussioni del bar, solo qualche anno fa, sarebbe stato messo da parte per la sua insulsaggine e superficialità.

Nessuno di quelli che parlano e scrivono di queste cose può essere misurato in concreto con cosa fa ed ha fatto e con i risultati della sua esistenza professionale e civile, sul campo ed in politica, e può essere valutato per i suoi comportamenti non solo di oggi ma anche di ieri; conta solo per quello che scrive e dice avendone modo ed occasione o pulpito in qualche talk show, espressione di lacrimatoi dove quelli che lacrimano hanno sempre ragione perché gli altri lavorano nella società solo per danneggiarli.

Evviva la democrazia e l’arte dell’apparire.

Chi invece legge, ascolta attraverso la lettura si purifica alla fonte dell’onestà raccontata pentendosi di non appartenere all’élite dell’ “oneste vivere” che purtroppo è cosa ben diversa da quella recitata e che invece si traduce in atti silenziosi di operosità quotidiana improntata alla correttezza del modus vivendi sempre ed in ogni occasione.

Mi pare possa essere questa una chiave di lettura più corretta, “oserei dire più onesta”.

Tutto ciò detto, naturalmente, vale non solo per i cittadini comuni ma anche e soprattutto per la politica, per tutti coloro che la praticano, per tutte le formazioni di destra e di sinistra ed anche per le formazioni populiste e di rabbia; per esse si potrebbe dire anche che per la giovinezza politica, per essere stati sempre ai margini talvolta anche sociali e fuori dal sistema, non hanno vissuto le condizioni e l’humus per diventare politicamente disonesti : non sono stati cioè ancora messi alla prova e non sono per definizione inattaccabili.

Guardare all’anagrafe, alla provenienza sociologica e professionale di tanti nuovi protagonisti della politica è certamente una apparente garanzia di purezza generazionale, ma non la garanzia che nel tempo le condizioni di contesto la manterranno intatta.

Va infine detto che la disonestà non è solo quella si materializza in comportamenti truffaldini, di rapina delle risorse dello stato e o della pubblica amministrazione, in comportamenti sleali e oggetto di disvalore giudiziario e penale. Non è qui il caso di elencare i diversi modi di articolazione della disonestà: sarebbe troppo facile una esemplificazione guardando alla nostra società.

Ma c’è poi una disonestà più profonda, pericolosa, perché ideologica che è quella che snatura il mandato politico (dell’ars politica) giacche far politica, come diceva Aristotele nella ponderosa opera dell’etica Nicomachea, significa occuparsi prioritariamente della cosa pubblica nel solo ed esclusivo interesse della collettività tutta, per il bene della gens patria.

Significa avere un disegno politico di cura delle cosa pubblica, del bene pubblico che è di tutti; un disegno praticabile, che non sta solo nella morsa del moralismo ad ogni costo, per ogni situazione, presentando come società migliore solo quella che rende giustizia in nome del giustizialismo, senza indicare poi soluzioni che valgono per tutti e per la società intera.

Ci sono diversi modi di essere onesti e disonesti e ci sono molti modi per essere di aiuto vero per la collettività: uno di questo sta anche nel dire la verità, nel comunicare con onestà, con lo scopo di rendere tutti  più consapevoli e capaci di assumere decisioni; decisioni non giuste in assoluto, perché non esistono decisioni giuste e non lo sarebbero mai per tutti, ma decisioni opportune e funzionali al momento, al contesto economico , politico e sociale del quadro nazionale ed internazionale che è un portato di anni di storia a cui hanno concorso tutti: la politica, i cittadini, la gens, la cultura, le relazioni internazionali, gli eventi della storia , insomma tutto e tutti.

Nessuno può ritirarsi dicendo io non c’ero. Purtroppo ci siamo stati tutti e ciascuno ha dato nel bene e nel male il suo apporto destruens e construens. E lo si dovrebbe misurare solo con i fatti e con i risultati.

E’ da qui che occorre ripartire non fuorviando il popolo non sempre attrezzato per comprendere tutto, più sensibile alle sollecitazioni che parlano alla pancia; è da qui che occorre responsabilmente iniziare per fare politica seria senza proporre il miraggio di soluzioni miracolistiche ed immediate e con la lusinga di difese ad oltranza di posizioni del tutto insostenibili.

Lo stato attuale delle cose è il portato di anni di inazioni e di cattive azioni in politica e nella società che ha smarrito valori e la bussola.

Quindi, per riprender lo spunto offerto dal giornale, scritto in un momento in cui si discuteva delle liste e dei politici incriminati,  si deve sostenere, contraddicendo ALVARO, che vivere “oneste” non è solo un dovere, non è solo un imperativo morale , è la condizione minima con la quale occorre incidere anche là dove quegli stessi principi di onestà non sono pane quotidiano, ricorrendo però molto meno alle parole e sostenendo con azioni concrete la società nelle difficoltà, soprattutto quando occorre, evitando esacerbazioni e indicando passi morali seri e concreti, fatti di azioni praticabili e realizzabili nell’interesse della intera comunità e senza steccati ideologici.

 Sarebbe questo un vero segnale di solidarietà nazionale non indebolito peraltro dalla difesa tout court, e ad ogni costo, dello stato individuale che si porta ed a cui si appartiene che tende a mettere al centro solo le proprie opinioni escludendo la società intera molto più complessa ed articolata.