Qualche considerazione sull’oneste vivere.

Nel mese di giugno dello scorso anno ho scritto alcune considerazioni sul tema dell’onestà. Alla luce di eventi recenti che hanno messo al centro dell’agire politico il tema dell’onestà, che sembra stia solo da una parte ed essere appannaggio esclusivo solo di una fetta del paese, mi è sembrato opportuno riproporre il pezzo che affida alla riflessione di chi legge alcune congetture sulle quali sarebbe opportuno tornare più spesso senza gridare al diavolo e fare del bel paese l’area dell’Ue  ove si leggono solo dati e notizie destrutturanti.

 

Nel paese dove è inutile essere onesti: nel pezzo sull’Espresso dell’11 giugno 2015 cosi conclude Saviano.

Egli assume che la politica è incapace di fare pulizia; si arriva alle liste compilate con criteri discutibili. Conclude l’articolo dicendo che Corrado Alvaro ebbe a scrivere che la disperazione più grande che può impadronirsi della società sta nel dubbio che vivere onestamente è inutile.

Per quanto si possa in parte condividere il pessimismo sulla qualità morale media della nostra società, indotta dai tanti esempi ricevuti per il passato, non si può del pari non considerare che negli anni si sono sviluppati una serie di anticorpi alla disonestà che certamente non possono farla considerare uguale a quella precedente Ventennio.

Mi chiedo se non sia anche compito dei giornalisti e degli opinionisti fare delle analisi più puntuali, evitando di cavalcare il tema, ed indicando ai lettori le differenze sostanziali tra il pluralismo democratico di oggi rispetto alla diversa governance culturale di un periodo, retrodatabile sino al 70/75, nel quale l’assenza nella società di strumenti di informazione pervasivi di fatto relegava la conoscenza delle notizie a pochi addetti, quasi sempre di testate giornalistiche manipolatrici della pubblica opinione ; notizie recitate peraltro senza controllo alcuno.

 La televisione come mezzo di diffusione era nella funzione divulgatrice pressochè insufficiente e forse anche imbavagliata; la rete web inesistente, i giornali molto più asserviti e strutturalmente funzionali alla politica o al potere ovunque si annidasse.

Tante notizie di reità e di malaffare rimanevano nell’ombra; passavano sotto silenzio o arrivavano in maniera distorta. E poi non c’era l’uso giornalistico indiscriminato ed illegittimo, di oggi, delle notizie di reato frutto del passaggio del processo da inquisitorio ad accusatorio, passaggio che avrebbe dovuto tutelare il presunto reo e che invece lo ha messo immediatamente alla berlina mediatica con l’impiego distorto delle notizie da intercettazione in prima pagina che però assiemano ed accomunano nelle vicende cittadini che solo a distanza di anni riusciranno ,poi, a dimostrare di essere fuori della mischia.

Si può, pertanto, con sicura convinzione dire che gli onesti sono solo una minoranza nel paese e che tutto nella politica si riduce alla “sola politica del malaffare”?

E che tutta la politica viene portata avanti da persone deviate che, per quanto significative nel numero, non rappresentano giammai tutta la categoria nella quale, invece, operano persone impegnate, serie e determinate a curare il bene collettivo?

Ad avviso di chi scrive è da rifiutare l’assioma della società dei disonesti di Alvaro, come della politica fatta solo da disonesti, non fosse altro per il fatto che la stragrande maggioranza del paese, fatta di cittadini comuni e di politici comuni, può vivere di modesti e umili passi, di contributi incapaci di incidere ed anche incapaci di iniziative portatrici di disvalore.

C’è infatti una maggioranza silenziosa che opera e lavora, distribuita ed articolata cui forse si può e si deve addebitare una sola colpa e responsabilità: quella di essersi messa troppo in disparte, di non partecipare, di delegare tutto ai pochi che la guidano.

Si è finanche assunta gran parte di essa l’ulteriore ruolo dell’astensionismo inquadrabile nella categoria di coloro che non hanno tra le loro priorità il bene della società e dello stato e che si lavano le mani alla “Ponzio Pilato”.

C’era anche prima ma ora è cresciuta.

Pericle nel suo discorso sulla democrazia agli ateniesi (qualche annetto fa, circa 400 A.C.), e ce lo ha ricordato recentemente De Masi nel suo Omnia Mundi , ha detto dei cittadini che si disinteressano della politica che non sono persone pacifiche ma inutili per la società alla quale pure si aggrappano, disinteressandosene.

E’ onesto assentarsi e non sentire il dovere di indicare le proprie idee in politica ma partecipare solo indirettamente a tutte le conseguenze, nel bene e nel male, delle scelte operate dagli altri?

O è solo un modo ignavo per dire io non c’entro, mi tengo lontano, anche se poi le conseguenze delle decisioni altrui, come del voto, ricadono su tutti ed anche su chi si è messo sulla sponda del fiume.

 Si partecipa delle cose buone e per quelle non buone si dice: io non c’entro.

Il non voto non è una scelta della ragione ma di pancia; pesa sulle sorti della società, disorienta tutti e favorisce le formazioni del populismo, del qualunquismo e della rabbia.

Torniamo alla onestà di cui innanzi si è detto.

C’è in questo costante ritornello sull’onestà, anche di tanti politici , giornali , giornalisti e di tanti cittadini “moralisti” la predica dal pulpito ( è difficile vederli attivi nel ruolo di reali moralizzatori che è ben altro ); c’è una riscoperta dell’onestà in politica dimentichi di cosa sono stati e di  cosa hanno fatto ieri , dimentichi di tante incoerenze che sono sotto gli occhi di tutti, talvolta anche quando appare abbiano operato in tutt’altro senso, ( la lista è lunga e ci porterebbe lontano); c’è in questo refrain di  bandiera l’idea che ora essa, l’onestà, stia da una sola parte.

C’è una sorta di narcisismo di opinione che tende a voler far coincidere chi scrive e chi ne parla (ormai ne parlano tanti a sproposito) con i moralizzatori (cioè con coloro che operano per moralizzare) e non con i moralisti; si sentono essi, sol perché ne parlano e ne scrivono i soli protagonisti del bene, moralisti d’occasione “con la parola e le opinioni “.

Alcune categorie, poi, sembrano santuari dell’onestà nata solo oggi pur essendo convissute con la storia degli ultimi vent’anni del nostro paese al cui precipitato hanno concorso tutti, nessuno escluso.

Una mano a questa scorribanda di idee la dà, poi, l’uso della rete per la quale, non a torto, un certo signor ECO tempo fa ebbe a dire ed a scrivere che essa ha dato spazio anche a chi nelle discussioni del bar, solo qualche anno fa, sarebbe stato messo da parte per la sua insulsaggine e superficialità.

Nessuno di quelli che scrivono di queste cose può essere misurato in concreto con cosa fa ed ha fatto e con i risultati della sua esistenza professionale e civile, sul campo ed in politica, può essere valutato per i suoi comportamenti; conta solo per quello che scrive avendone modo ed occasione o pulpito in qualche talk show, espressione quasi tutti di lacrimatoi dove quelli che lacrimano hanno sempre ragione perché gli altri lavorano nella società solo per danneggiarli.

Evviva la democrazia e l’arte dell’apparire.

Chi invece legge, ascolta, si abbevera, attraverso la lettura si purifica alla fonte dell’onestà raccontata pentendosi di non appartenere all’élite dell’ “oneste vivere” che purtroppo è cosa ben diversa da quella raccontata e recitata e che invece si traduce in atti silenziosi di operosità quotidiana improntata alla correttezza del modus vivendi sempre ed in ogni occasione.

Mi pare sia questa una chiave di lettura corretta, “oserei dire più onesta”.

Tutto ciò detto, naturalmente, vale non solo per i cittadini comuni ma anche e soprattutto per la politica, per tutti coloro che la praticano, per tutte le formazioni di destra e di sinistra ed anche per le formazioni populiste e di rabbia; per esse si potrebbe dire anche che per la giovinezza politica, per essere stati sempre ai margini talvolta anche sociali e fuori dal sistema, non hanno vissuto le condizioni e l’humus per diventare politicamente disonesti : non sono stati cioè ancora messi alla prova e non sono per definizione inattaccabili.

Guardare all’anagrafe, alla provenienza sociologica e professionale dei tanti nuovi protagonisti della politica è certamente una apparente garanzia di purezza generazionale, ma non la garanzia che nel tempo le condizioni di contesto la manterranno intatta.

Va infine detto che la disonestà non è solo quella si materializza in comportamenti truffaldini, di rapina delle risorse dello stato e o della a pubblica amministrazione, in comportamenti sleali e oggetto di disvalore giudiziario e penale. Non è qui il caso di elencare i diversi modi di articolazione della disonestà: sarebbe troppo facile una esemplificazione guardando alla nostra società.

Ma c’è poi una disonestà più profonda, pericolosa, perché ideologica che è quella che snatura il mandato politico (dell’ars politica) giacche far politica, come diceva Aristotele nella ponderosa opera dell’etica Nicomachea, significa occuparsi prioritariamente della cosa pubblica nel solo ed esclusivo interesse della collettività tutta, per il bene della gens patria.

Significa avere un disegno politico di cura delle cosa pubblica, del bene pubblico che è di tutti; un disegno praticabile, che non sta solo nella morsa del moralismo ad ogni costo, per ogni situazione, presentando come società migliore solo quella che rende giustizia in nome del giustizialismo, senza indicare poi soluzioni che valgono per tutti e per la società intera.

Ci sono diversi modi di essere onesti e disonesti e ci sono molti modi per essere di aiuto vero per la collettività: uno di questo sta anche nel dire la verità, nel comunicare con onestà, con lo scopo di rendere tutti  più consapevoli e capaci di assumere decisioni; decisioni non giuste in assoluto, perché non esistono decisioni giuste e non lo sarebbero mai per tutti, ma decisioni opportune e funzionali al momento, al contesto economico , politico e sociale del quadro nazionale ed internazionale che è un portato di anni di storia a cui hanno concorso tutti: la politica, i cittadini, la gens, la cultura, le relazioni internazionali, gli eventi della storia , insomma tutto e tutti.

Nessuno può ritirarsi dicendo io non c’ero. Purtroppo ci siamo stati tutti e ciascuno ha dato nel bene e nel male il suo apporto destruens e construens. E lo si dovrebbe misurare solo con i fatti e con i risultati.

 

E’ da qui che occorre ripartire non ingannando il popolo non sempre attrezzato per comprendere tutto, più sensibile alle sollecitazioni che parlano alla pancia; è da qui che occorre responsabilmente iniziare per fare politica seria senza proporre il miraggio di soluzioni miracolistiche ed immediate, e con la lusinga di difese ad oltranza di posizioni del tutto insostenibili.

Lo stato attuale delle cose è il portato di anni di inazioni e di cattive azioni in politica e nella società che ha smarrito valori e la bussola.

Quindi, per riprender lo spunto offerto dal giornale, scritto in un momento in cui si discuteva delle liste e dei politici incriminati,  si deve sostenere, contraddicendo ALVARO, che vivere “oneste” non è solo un dovere, non è solo un imperativo morale , è la condizione minima con la quale occorre incidere anche là dove quegli stessi principi di onestà non sono pane quotidiano, ricorrendo però molto meno alle parole e sostenendo con azioni concrete la società nelle difficoltà, soprattutto quando occorre, evitando esacerbazioni e indicando passi morali che non sono quelli dell’invito all’astensionismo ed altri di cui si è scritto e dibattuto recentemente nello stesso periodo.

 Sarebbe questo un vero segnale di solidarietà nazionale non indebolito peraltro dalla difesa tout court, e ad ogni costo, dello stato individuale che si porta ed a cui si appartiene che tende a mettere al centro solo le proprie opinioni escludendo la società intera molto più complessa ed articolata.

 

L’Università on line :una occasione da non perdere

Traduzione di un articolo apparso su una rivista della Società di Consulenza strategica BOSTON CONSULTING GROUP .

“Il numero relativamente piccolo di persone che, In un passato non troppo lontano, ha preso lezioni on-line negli Stati Uniti ha visto una crescita all’alternativa dei corsi tradizionali tenuti in classe . Gli adulti in carriera e i giovani hanno approfittato delle lezioni on-line gradite a causa della convenienza concessa loro di imparare sempre e ovunque. Nella mente di molte persone i corsi di laurea online sono stati quasi sempre associati a scopi lucrativi delle associazioni, delle istituzioni, anche se sono state molte le istituzioni non profit che hanno proposto corsi individuali on-line.
Oggi, quello che una volta era considerato un mezzo educativo di nicchia è diventato parte del mainstream.

Ad esempio, il 60 per cento di istituti secondari propongono offerte di corsi online. E la percentuale di studenti di istruzione superiore attualmente iscritti ha almeno un corso on-line ed è ad un massimo storico del 34 per cento, ovvero rappresentano circa 7 milioni di studenti-con iscrizione online con una crescita  di almeno cinque volte di più rispetto al numero alle iscrizione totale. Più di 3 milioni di studenti, il 15 per cento di tutti gli studenti dell’istruzione superiore, stanno attualmente imparando, principalmente attraverso corsi on-line, come studiare in un programma che è per lo meno per l’80 % in linea.

Tale cifra era del 6% per cento un decennio fa.

La formazione on-line è associata ad una vasta gamma di istituzioni educative, tra cui si registrano alcune delle più prestigiose università senza scopo di lucro del paese. Ciò che aveva generato un’opportunità basata su un trade-off qualità /convenienza si è modificato in una percezione del livello di qualità costruito sulla reputazione e su una modalità di insegnamento che richiede meno compromessi.

Un sondaggio BCG su oltre 2.500 studenti e 675 genitori e con-aziende americane ha confermato queste tendenze che si arricchiscono di nuove opportunità per esempio con l’esperienza degli studenti in corsi blended (che combinano on-line e l’istruzione in-class). In linea con le stime di cui sopra, i risultati del BCG US Education Sentiment Survey indicano che la percentuale di studenti attualmente con un corso online si attesta al 30 per cento degli studenti post-secondaria.

Si stima inoltre dal sondaggio che il 16 per cento degli studenti post-secondaria sta attualmente imparando principalmente attraverso corsi on-line. Inoltre, la ricerca di BCG ha identificato gli atteggiamenti universali sulla formazione on-line tra gli studenti e genitori.

La indagine ha mostrato che gli studenti in tutti i dati demografici e posizioni sociali vogliono combinare  gli online con corsi in aula tradizionali, per creare un’esperienza di apprendimento che coniuga le impostazioni virtuali e tradizionali. In realtà, la nostra indagine indica che più del 25 per cento degli studenti è attualmente in corso almeno un corso blended.

E’ anche emerso che gli studenti desiderano un maggiore livello di interattività .

Le istituzioni che non riescono a prepararsi a questi cambiamenti e rispondere alla drammatica maggiore concorrenza tra offerte online rischiano di perdere la quote di pertinenza e la quota di mercato globale. Quelle che si adattano scopriranno enormi opportunità non sfruttate per la crescita, nuove piattaforme per l’innovazione ed il potenziale modo di trasformare le inclinazioni con cui le future generazioni di studenti impareranno.”

IL  CASO ITALIA

Siamo il paese con il più basso indice di e-learning, con il più basso indice di studi che si perfezionano on line.In compenso siamo il paese con il più elevato indice di costo amministrativo e di gestione in tutti gli ordini di scuola.E non è un caso il dato rappresentato dal fatto che solo il 40% dei giovani tra i 25 ed i 40 anni ha un titolo di studio di cultura terziario, mentre solo il 15% tra i 55 e 64 anni ne dispone.La percentuale aumenta di 10 punti nella generazione degli anziani.Dopo il Brasile siamo il paese con la percentuale più bassa di laureati.

Analisi

In Italia gli studenti iscritto ai corsi delle Università Telematiche on line sono appena 46 mila circa. Le Università tradizionali appaiono restie ad aprirsi del tutto e non riescono a cogliere le opportunità che si presentano con l’impiego delle tecnologie che nei paesi avanzati e nei paesi Europei lungimiranti si stanno offrendo ai giovani.

Università Telematica Guglielmo Marconi                                                                                         9455          4.868                       14.323

Università telematica Unitelma Sapienza di Roma                                                                            873             772                          1.645

Università Telematica Internazionale Uninettuno di Roma                                                         5939          3351                          8.710

Università Telematica Niccolò Cusano di Roma                                                                               7240          4550                        11.790

Università Telematica San Raffaele di Roma già UNITEL                                                             609             359                             968

Università Telematica “E-Campus di Novedrate (Co)                                                                     6683         3572                         10205

 

In un fondo della settimana scorsa su un importante settimanale in merito alla riforma della Scuola in generale si osservava, e ciò vale per ogni ordine di scuola ed anche per le Università , che quel che conta nel processo di formazione non sono i contenuti, che possono essere visti in funzione degli obiettivi e delle finalità professionali a tendere, quindi non il cosa , ma il come.

Forse anche le Università devono fare una profonda riflessione e rendere sempre meno cartacea, libresca e frontale, la modalità di insegnamento e sempre meno statiche le lezioni.

Ne trarranno vantaggio tutti e soprattutto gli iscritti che sono circa 1700000 costretti in ragione della mobilità, dei costi e dei vincoli di tempo ad una dispendio di energie non indifferenti che potrebbe essere di certo più contenuto se solo si pensasse che almeno una parte, solo una parte, ad esempio riferita alle lezioni meno impegnative che richiedono una minore interazione con la didattica visiva e frontale, si svolgesse con la modalità on line

L’ apporto in termini di contenuti non ne risentirebbe e potrebbe essere colto con continuità di tempo, con una disponibilità senza limiti spazio e con costi marginali bassissimi. E forse anche le stesse Università una volta fatto l’investimento potrebbero trarne non piccoli vantaggi in termini di conto economico.

Napoli li 7 aprile 2015

IL CASO NAPOLETANO DELLA FEDERICO II ” FEDERICA”.

Leggiamo con vivo compiacimento il volume “Federica Eu” della nostra Federico II di Napoli,  consegnato in uno al settimanale Sette del Corriere della Sera di oggi, intitolato a “Lezione con un click “! In esso si parla della nuova rivoluzione culturale che ha la forza di Gutenberg e la velocità di Internet. Solo qualche settimana fa in una conversazione con il Rettore della Federico II nel corso di una serata rotariana se ne ebbe a parlare. I Mooc ( Massive open online courses ) corsi on line aperti e pensati per una formazione a distanza ( con piattaforme varie  di Università Italiane che sfruttano persino produzioni di origine extranazionale ) sono un buon inzio, giacchè, pur essendo diretti a famiglie di utenti  le  più disparate, giovani, docenti,professionisti e semplici appassionati, non hanno ancora la finalità di erogare servizi di formazione per completare un intero corso di studi come fanno le Università Telematiche sopra citate figlie del provvedimento Moratti istitutivo delle Universita online.

Anche le Università al pari di tante altre Istituzioni ( Sanità, Giustizia)  sono nella fase storica di un passaggio epocale. La carenza nell’E-learning ci veniva rimproverata dall’OCSE già più di un decennio fa.  Il guado è lungo, perchè non bastano i dati citati nel volumetto, pur importanti, per connotare FEDERICA EU della patente di  Università on line  : 40 corsi, 600 lezioni, 10000 slides, 1800 video, 3000 immagini. E’ di certo un significativo passo in avanti ; costituisce la precondizione del progetto finale. Ma alle spalle occorrono ben altri investimenti e progetti di elevato contenuto organizzativo ad ampio impatto. Quel che serve è la possibilità di aiutare i giovani a cogliere tutte intiere le opportunità della formazione a distanza, consentendo loro di completare almeno per ogni corso di laurea una quota degli insegnamenti, quelli possibili, con innegabili vantaggi per la collettività tutta a fronte di investimenti che hanno un ROE elevatissimo. Le analisi costi e benefici sono sotto gli occhi di tutti specie quando i dati di conto economico sono importanti come quelli della Federico II in uno a quelli della platea di studenti, circa 85000.

si allegano anche i link dei pezzi comparsi su Repubblica edizione Napoli e Corriere del Mezzogiorno di alcuni giorni fa.

http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/arte_e_cultura/15_aprile_16/federicaeu-campione-web-learning-f2c497e4-e424-11e4-8e91-005682cf2ca0.shtml

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2015/04/16/anche-la-federico-ii-va-sulla-rete-lezioni-gratis-on-line-dal-21-aprileNapoli01.html?ref=search

Ricominciamo dal basso

 

Prendo lo spunto dal pezzo di Piero Ignazi pubblicato di recente sul settimanale l’Espresso intitolato “Un terremoto lungo un anno : è Renzi “.

Per caratterizzare il momento nel quale da poco più di un anno si è calata l’azione del Royal baby, come lo ha definito Ferrara e come meglio lo ha anche caratterizzato Friedman nel suo recente libro “ Ammazziamo il gattopardo”, affido alla lettura dei numeri la comprensione del contesto macro e socio economico del nostro paese.

Dalla loro lettura può trarsi il profilo di inadeguatezza del nostro sistema paese, politico e sociale, incapace di reggere la competizione imposta dal contesto globale e di continuare ad assicurare e garantire alla società il  Welfare previsto dalla carta Costituzionale oltre che dai principi generali, comuni, di solidarietà.

Molti dei dati del nostro sistema economico e sociale e molti dei deficit del nostro assetto organizzativo di paese non rappresentano neppure l’elemento più sconfortante se messi a confronto con quello dei valori e del disagio morale ed ideale nel quale il paese è sprofondato nel ventennio seguito ai grandi sconvolgimenti successivi al 92; data spartiacque, quest’ultima, che ha dato inizio al periodo che va sotto il nome di seconda repubblica.

La seconda, infatti, avrebbe dovuto cancellare gli effetti devastanti della prima emersi proprio da quella data con lo storico giustizialismo che produsse la cancellazione del sistema dei partiti.

Le responsabilità del ventennio (gli anni sono ormai  23 ) naturalmente non stanno da una sola parte. Ce n’è per tutti, nessuno escluso, ed anche per i cittadini abituati a chiedere sempre di più nel decennio di indulgenze che precedette la seconda repubblica e che diseducò gli italiani e i tanti organismi  e i tanti  corpi sociali che non hanno giammai rappresentato le istanze collettive ma solo quelle de ceto di riferimento.

Le responsabilità , infatti, vanno distribuite tra attori protagonisti del progetto di sfascio e tra compartecipi,  tra comparse consapevoli, silenti e consenzienti, tutte moralmente quanto meno da censurare.

E’ impossibile pensare che la politica non abbia avuto la percezione delle criticità di cui non hanno reso consapevole ed edotto il paese. Vicinanza, direttore del settimanale l’Espresso nel suo ultimo pezzo ” Se Renzi si affranca dal partito dei giudici” a proposito delle responsabilità politica  annota: ” certo le responsabilità non sono paragonabili ma il mix resta perverso”.

Cosi stando le cose Renzi, quindi, ci deve provare; la situazione è ormai al limite ed è augurabile che ci riesca.

Deve però guardarsi soprattutto dai gattopardi, come sostiene Friedman,  da quelli cioè che oggi vorrebbero la migliore legge elettorale dopo aver subito per anni il puzzo del porcellum , la migliore Costituzione che è oggi frutto di non poche e fuorvianti riforme prodotte anche dalla sinistra ; deve guardarsi meno dagli avversari, perchè noti come tali, e cioè dai grillini che vorrebbero uno stato giustizialista, perché loro , arrivati ad un seggio che mai avrebbero immaginato solo sino a qualche anno fa di poter conseguire , si sentono i soli portatori di purezza ed innocenza incontaminata; e meno ancora dai leghisti che vorrebbero una Europa migliore ma senza Euro purchè distribuisca quote latte agli agricoltori del Veneto dell’aspirante Zaia a carico della collettività. E’ inutile dire degli altri  e fors’ anche dell’ NCD che vive uno stato di difficile equilibrio tra le spinte verso la destra ed il centrismo in una logica difficile  di sopravvivenza.

Partendo da alcuni dati e risalendo piano piano alle iniziative appena avviate,  con un occhio a quelle in cantiere, si potranno trarre le necessarie conclusioni , immaginare cosa c’è dietro l’angolo e qual’e lo sforzo immane che si richiede e che sarà richiesto a tutti i corpi sociali naturalmente arroccati e resistenti verso i dolorosi cambiamenti.

Ignazi  dice che Renzi è figlio di un’altra epoca è “un leader politico senza ideologia e riferimenti politico culturali”: non è un dato negativo; tutt’altro.

Sta a significare che per il suo tratto generazionale, al momento, è senza condizionamenti e senza retaggi che possono, in questa fase, indebolire la spinta a cambiare in tutte le aree in cui si ravvisi la necessità di risistemare la società che va smontata pezzo pezzo per essere allineata ad un sistema di valori e regole più giuste ed allo stesso tempo più efficienti ed idonei per la competizione internazionale.

Questa la  premessa nella quale inserire e leggere i dati macroeconomici.

Ce ne offre l’occasione il recente Outlook economico dell’Ocse del Marzo 2015.

I dati macro economici dell’Italia vengono confrontati solo con quelli di alcuni paesi significativi e maggiormente indicativi dell’area Euro e dell’Ocse; ci dicono anche quanto sia modesto il nostro livello di competitività complessivo. Sono state selezionate solo sei nazioni per il commento.
I dati del quadro complessivo sono  disponibili con la lettura all’Outlook cui si rinvia per ogni utile approfondimento al link relativo che viene sotto appostato.

  1. Il Pil

L’Italia non cresce da decenni. Nel solo periodo che va dal 2012 al 2014 si sono persi 4,4 punti di PIL. Nel 2012 l’indice era al 97,8; scende nel 2014 a 95,6. Nel solo 2014 il Pil è invece diminuito dello 04 %; è passato cioè da 96 a 95,6.
Il 4,4% di Pil significa circa 60 miliardi € in soli quattro anni, miliardi cumulati che di fatto ogni anno costituiscono un monte risorse economiche e finanziarie in meno nelle tasche degli italiani e dell’economia.
Il dato è ancora più sconfortante se messo a confronto con quello di tutti i paesi dell’Europa, dell’area dell’Euro e con quello di alcuni paesi dell’Ocse.
La Francia nello stesso periodo passa da 102,4 al 103,3 e guadagna nove centesimi di punto; la Germania da 104 a 106,5, guadagnando 2,5 punti percentuali; anche la Spagna , che era caduta in basso come noi, perché attestata sul 97,3 [ contro il nostro 97,8 ], guadagna a sua volta un punto perché arriva al 98,3.
Inghilterra è Stati Uniti passano rispettivamente da 102,3 e 104 a 107,7 e 110,2.

Ma quel che più risalta e’ il fatto che tutti gli altri paesi, tranne la Spagna e noi, (naturalmente eccezion fatta per la Grecia che nel 2012 e’ all’85%) sono portatori di un indice superiore a 100.

Hanno in altri termini assorbito gli effetti della grossa caduta seguita alla crisi del 2008. Paesi come il Belgio e l’Olanda ,investiti pesantemente dai riflessi delle crisi bancarie contrariamente a quanto era accaduto all’Italia,  sono in fase avanzata di recupero e ricrescita.

  1. Consumi privati

Questo il dato del Pil cui corrisponde un analogo dato negativo dell’indice dei consumi privati.
Quello italiano passa dal 96,1 del 2012 al 93,8 del 2014, con un perdita percentuale di 6,2 rispetto al 2010 corrispondente a circa 90 miliardi di € cui occorre aggiungere un altro punto dei consumi pubblici, cioè della pubblica amministrazione.
Stabile invece l’indice della Francia a 101; in aumento naturalmente l’indice della Germania da 103 a 106,1 con un più 3% che per i tedeschi, in ragione del loro Pil, significa quasi 75 miliardi di €.
Di assoluto rilievo tendenziale in positivo gli indici di Inghilterra e Stati Uniti che guadagnano il primo 4,5 punti ed il secondo 6,6 punti. Ma anche altri paesi non sono da meno.

Quando si vogliono fare critiche alla politica, per ciò che ha fatto e per ciò che non ha fatto, è da qui che bisogna ripartire  per capire in quale contesto opera il paese e di quali cure e rimedi ha bisogno, cure che non sono solo quelle di natura economico finanziario ma soprattutto quelle di natura strutturale , come meglio si potrà capire quando si esamineranno altri indicatori.
Gli altri paesi, forse, hanno già fatto prima le loro riorganizzazioni visto che, al momento, non ne sentono il bisogno.

Ma andiamo avanti con i numeri.

  1. Gross fixed capital formation

Con l’indice ad 89,0 nel 2012 il nostro Gross fixed capital formation, che esprime il processo di formazione degli investimenti, passa nel 2014 a 80,6. Si tratta di un meno 20% di investimenti necessari per alimentare il processo di produzione, la ricostituzione del capitale fisso, di quello circolante, per sviluppare innovazione e creare le condizioni per aumentare la produttività e l’efficienza di sistema.
E, siccome è a tutti ben noto che le risorse endogene sono scarse, non vi può essere altra soluzione per integrarle che incentivare quelle esogene, cioè esterne, creando però le condizioni per stimolarne l’ingresso.

Qui il discorso si fa ancora più complesso legato com’è a tutto una serie di quadri regolamentari che negli ultimi vent’anni per quanto non siano stati migliorati risultano addirittura peggiorati e non di poco. Basta pensare a tutti i provvedimenti che sono in cantiere per far diventare l’Italia un paese appena appena più normale. Mi astengo dal citarli sono a tutti noti e da tutti contrastati perchè tendenzialmente diretti a rimuovere le acque stagnanti del paese invaso da melme diffuse.

Al contrario l’indice tedesco del Gross fixed Capital passa da 106,5 a 109,8, mentre quello francese evidenzia solo una piccola sofferenza perché passa da 102,3 a 99, ma sempre vicino a quota 100 quota che quantomeno non espone una caduta come quella italiana fatta di ben 20 punti in quattro anni.

Inghilterra è Stati Uniti hanno invece fatto un grosso giro di boa ; il primo paese passa da 103,1 a 114 , il secondo da 109,2 a 119,2. In altri termini in quattro anni il paese d’oltremanica ha visto una crescita degli investimenti di 14 punti, quello d’oltreoceano di 20 punti.
Quasi tutti i paesi dell’Ocse sono in zona positiva, cioè con indice superiore a 100 base al 2010, tranne Portogallo, Spagna, Grecia, e naturalmente l’Italia.
L’Italia non investe: è un dato strutturale che dipende solo dalla domanda ? o ci sono ragioni anche diverse legate alla imprenditoria, alle formazione del risparmio, al quadro regolamentare, al clima di sfiducia etc etc.
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Altri due dati significativi

  1. Disoccupazione

Il dato della disoccupazione nel 2015: Germania 4,7, Francia 10,2, Stati uniti 5,7, Spagna 23,4, Inghilterra 5,6, Italia 12,6.

Nel periodo che va dal 2008 al 2014 la Francia fa registrare un crollo di soli 34.mila occupati a fronte di circa 27 milioni di lavoratori, la Germania fa registrare una crescita di 2 milioni circa di posti di lavoro a fronte di una massa di occupati di 49 milioni circa ( 24 milioni in più dell’Italia a fronte di una popolazione di circa venti milioni in più rispetto a noi ), la Grecia una perdita di circa 980 mila addetti su il numero di poco più di 3,9 milioni , l’Italia una caduta di 1 milione circa di addetti su una massa di dipendenti di 24,3 milioni; la Spagna perde circa 3 milioni di occupati su una circa 18,4 milioni di occupati.

Ci sono due /tre economie che hanno il dato positivo della quasi piena occupazione, Stati Uniti , Germania ed Inghilterra , mentre tutti gli altri hanno raggiunto il livello più alto della criticità nel mondo del lavoro. Non è un caso il fatto che sia stato coniato il termine Pigs per indicare i quattro paesi dell’Ue posti sotto diverse regole di osservazione e controllo (Portogallo ,Italia, Grecia e Spagna ).

  1. Produzione industriale

Ai dati della disoccupazione corrispondono quelli della produzione industriale che con base 100 al 2010 così si presentano nel 2014 : Spagna 90,9; Germania 111,1; Inghilterra 97,4 ; Stati Uniti 117,1; , Francia 96,8; Italia 91. In altri termini c’è un riflesso speculare tra il dato della produzione industriale con la caduta della occupazione:  entrambi  determinano la caduta del Pil.
In Italia la perdita dei posti di lavoro viene condivisa divisa a metà tra il settore dell’industria primaria ed il settore dell’edilizia. Non altrettanto è successo nel settore mercantile e dei servizi che grosso modo ha mantenuto anche per effetto di compensazioni il livello generale degli occupati.

  1. Una notazione a parte merita il settore dell’export ed import.

Con base 100 al 2010 un pò tutti i paesi sono cresciuti per effetto della domanda trainante dei paesi extra OCSE.

E così gli Stati Uniti guadagnano l’indice a 119,3, l’Inghilterra l’indice 106, la Germania l’indice a 117, la Francia l’indice 113,3, la Spagna l’indice 118,8 e l’Italia l’indice 111,1.

All’indice corrispondono i seguenti dati in $: Germania 1510 miliardi di $, pari al 39,1% del Pil ; Francia 581 pari al 20,5 % del Pil; Spagna 323 pari al 23 % del Pil ; Inghilterra 474 pari al 16,1 del Pil ; Stati Uniti 1623,27 pari al 9,4 del Pil ed infine l’Italia con 528 miliardi di $ pari al 24,6 del Pil. Il dato della Francia comprende nella voce principale una grossa quota di esportazione dei servizi ; l’Italia è sicuramente seconda dopo la Germania nella esportazione dei beni che è il vero valore positivo che ci caratterizza e ci pone prima della Francia e dell’Inghilterra e di tutti gli altri paesi Europei. Per la Francia in particolare va anche detto che una grossa quota dell’export è data dalla vendita dell’Energia a cagione del peso determinante nella produzione di energia nucleare di cui anche noi siamo fruitori e compratori.

Balza prepotente all’occhio il dato della Germania che vende circa il 40 % del suo fatturato a terze economie, con l’altro impressionante dato di un avanzo della bilancia commerciale di ben 295 miliardi di $. Anche l’Italia nel settore porta a casa un discreto avanzo commerciale, di circa 56 miliardi di $, in parte conseguenza dell’accresciuto livello delle esportazioni, pur dinanzi ad una caduta delle produzione industriale, come si è visto sopra, ma anche figlio della caduta delle importazioni che dall’indice base 100 al 2010 nel 2014 passa al 91,8 con un meno 8 punti circa di import per la caduta della domanda dei consumi e degli investimenti.
Tutti gli altri quattro paesi citati nella nota versano invece in una situazione di disavanzo strutturale sistemico.

Questi solo alcuni dei dati macroeconomici che mettono in piena luce lo stato della nostra economia, da cui occorre ripartire e cioè dal basso.
Il lavoro che attende la politica è quello di ricreare, attraverso un quadro regolamentare con impatto e ricaduta generale e attraverso le riforme strutturali di processo nella Pa le condizioni minime di una ripresa, incidendo per quel che è possibile sul contesto interno, su ciò che in effetti è possibile modificare con le leve disponibili della politica.

Altri miracoli non sono a portata di mano.

I risultati dipendono oltre che dal trend dell’economia mondiale e dagli indicatori che la caratterizzano, sui quali l’azione delle politiche nazionali poco possono fare, dalla capacità di incidere in Europa sulle politiche di rilancio degli investimenti nell’area ma soprattutto dalla produttività dell’intero sistema paese e dal valore aggiunto che sapremo e riusciremo a ricostruire.

QUESTA LA PRIMA PARTE

Ocse Main Economic indicators Marzo 2015

 

Nei successive pagine saranno ripresi tanti altri elementi destinati a completare il quadro di riferimento complessivo del sistema nazionale

Le fonti saranno sempre quelle dell’OCSE  per il settore finanziario quelle del FMI.
I paesi saranno sempre quelli sotto rassegna per la vicinanza e la possibilità di instaurare confronti che facciano capire come siamo e cosa facciamo e perché negli anni il nostro debito è cresciuto in maniera eccessiva.