La risorsa sulla quale contiamo: la fiducia

Dall’ultimo outlook OCSE sull’Italia per le SMES ( small and medium enterprises) si leggono alcuni dati sui quali pare utile soffermarsi.

Peggio di noi solo la Grecia che dall’indice del Gdp ( Pil ) 92,9 del 2011 passa all’83 del 2013. Un vero capitombolo che non ha il corrispondente per l’Irlanda, pure entrata in crisi e che è sotto warnig in Europa, che segna sei punti di crescita da 102 del 2011 a 108 del 2013 e neanche per la Spagna che registra il seguente dato : da 100 a 98,2 del 2013 con un -1.8% .L’Italia è invece in buona compagnia del Portogallo che da 98,2 passa a 94,3 , quindi con un meno – 6.

Il dato portoghese in parte ci consola visto che il nostro indice , fermo ormai da tempo con un -6 % in cinque anni, nel periodo in rassegna , cioè dal 2011/2013, passa da 100,6 a 96,1 con una delta negativo di -4,5 corrispondente ad un pil di circa 60 miliardi di €. Una differenza di Pil annuale che si traduce in un meno 60 miliardi all’anno di GDP.

Nelle prime pagine dell’outlook si legge inoltre che l’expenditures ( le spese ) del governo centrale sono di ben 5,6 punti superiori alla media dei paesi OCSE, ( Italia 50,6% average Ocse 45% rispetto al GDP- prodotto interno lordo ), e che le revenues, gli incassi della Pa, sono di ben 9 punti superiori alla media del gruppo di nazioni esaminate ( Italia 47,7% contro 38,1% rispetto al GDP); si può ben comprendere quale sia la percezione dell’Italia non solo nella Comunità ma nel gruppo delle nazioni sotto i riflettori dell’Ocse, ma anche quale sia lo stato reale della nostra economia nazionale e la grave situazione che si è determinata.

Questi solo alcuni dei dati che dovrebbero indurci a riflettere.

Questi ultimi,ben noti ed analizzati da anni, sono la conseguenza di deficit strutturali che non riescono far partire e ripartire l’Italia; si capisce perché gli aggiustamenti che il governo attuale sta tentando di fare sono solo l’inizio di un processo più ampio che deve incidere in profondità sugli assetti sociali, strutturali , finanziari ed istituzionali della nostra bella Italia , considerata non a torto il bel paese ma bello solo per pochi e matrigna nei confronti di tanti.

E non si riesce, invece, proprio a capire come possano avere seguito gruppi di opinione e partiti che suggeriscono soluzioni rapide e fantasiose a supporto dei loro programmi con i quali vorrebbero rimettere in piedi l’Italia:

A) abbassare le tasse al 15% , aliquota unica; le conseguenze sarebbero nefaste ed inimmaginabili per tutte le funzioni dello Stato che non sono solo quelle del pagamento degli stipendi e/o del sostegno alla politica, da ridurre drasticamente, ma anche tutte le altre di natura sociale ed istituzionale; viene a proposito la recente relazione ( di questi giorni) della Corte dei Conti che fa una spietata analisi che individua tra le cause e le ragioni di questo disastro le insufficienze dei doveri fiscali di solidarietà da parte di fette importanti della società.

B) uscire dall’Euro perchè l’appartenenza ci costringe ( e meno male che ci costringe , altrimenti saremmo stati già nelle fosse del Pacifico non annegati ma divorati dai pesci voraci dei fondali ) a non spendere a debito ritornando alla liretta nazionale per incentivare le esportazioni; non capiamo quanto in buona fede sono quelli che lo sostengono ,su cui c’è da dubitare, perchè non ricordano del pari che l’Italia è un paese trasformatore che compra tutte le materie prime e le energie , materie che costerebbero molto di più e che determinerebbe un aggravio che nel volgere di poco tempo ci porterebbe alla fame.

Alle proposte fantasiose e temerarie di cui sopra corrispondono poi iniziative dei sindacati che pensano di agire con le vecchie modalità dello sciopero generale senza bilanciamenti e senza immaginare soluzioni innovative che aiutino le imprese ancora vitali ad accrescere produttività ed efficienza ; insomma continua a valere la regola del tutto dovuto a tutti e in maniera generalista per chi è dentro il sistema senza uno sguardo complessivo alla tenuta dell’intero sistema sociale.

E non è tutto: le resistenze sono generalizate.

Fa il resto la mancata condivisione alle proposte di rinnovamento delle lobby e corporazioni che difendono privilegi e rendite; lobby e corporazioni e parte del ceto sociale non intendono farsi carico di un processo di efficientamento della società costruita un pò dappertutto con pratiche burocratiche che poco aggiungono nella generazione del valore al sistema economico con attività di intermediazione e mediazione da razionalizzare che sinora hanno rallentato lo sviluppo della agenda digitale unica strada per avvicinarci ai paesi virtuosi dell’Europa , dell’America e dell’Asia .

E’ pur vero che una volta sistemate alcune priorità sarà opportuno, anzi doveroso e di sinistra, incidere sul tema delle disuguaglianze eccessive e sulla finanza che assorbe risorse oltre modo ed oltre il livello che deve rispondere ad una logica di risorsa strumentale, funzionale al sostegno del sistema di impresa e dell’economia in generale.

Nessuno oggi può più mettere in dubbio la funzione e le finalità del sistema finanziario; quando esso si fa carico di svolgere il ruolo fondamentale di gestione della ricchezza e di ridistribuzione delle risorse da economie in eccesso rispetto ad economie in deficit che ne sollecitano l’impiego è vitale ed essenziale per gli assetti economici.

Sono da correggere gli eccessi di finanziarizzazione senza però portare il sistema Italia in uno stato di incapacità competitiva che sarebbe molto peggio nel confronto con le economie degli altri paesi che fondano anche sulla finanza una parte significativa della loro forza ( vedi Germania, Francia ed Inghilterra per non dire degli Stati Uniti).

Parte della politica , del sindacato e della società, il dato di senso è un pò comune a tutta la società civile, non si è ancora resa conto che la globalizzazione ha sconvolto le regole tradizionali della conflitto e della competizione; sono venuti meno schemi e modelli che valevano in un contesto meno ampio e territorialmente più contiguo ( Europa contro America , all’ interno della stessa Europa). La globalizzazione, che ha consentito a paesi poveri di sollevarsi e quindi di ridurre la povertà globale del sistema e la condizione dei mercati globali, impone una competitività allargata con regole nuove e non tradizionali. ( vedi le charts allegate)

Capire che la sistematica conflittualità ad ogni costo alimenta solo l’orto del particolare è forse anche un dovere etico e morale; solo il ricorso a ragionevoli soluzioni, che pongano il tema della globalizzazione come termine di confronto in ogni problema, può aiutarci a superare la profonda criticità di sistema che è frutto di una sedimentazione di anni di cattiva governance su cui tanto si è detto e scritto.

Della globalizzazione non possiamo e non potremo fare a meno perchè aiuta tutti, anche noi, indirizza i mercati verso l’ottimo e gli equilibri e non sarà certo l’Italia a dettare le regole.

Figurarsi poi se questa competizione anzichè farsi con una struttura qual’è la UE, dall’interno, pensassimo di farla come dicono alcune aree della politica da soli nell’oceano dell’economia e della finanza. Forse non è noto, e vale la pena qui di ricordarlo, che i dati delle transazioni mondiali vedono il $ ( dollaro) al primo posto con una quota del 65/67% e che l’Euro copre un 23-25% ; a tutte le altre monete compreso Yen, Rublo , Rupia, etc etc.solo rimane solo il 10%. Questo significa pur qualcosa in termini di competizione e di forza.

Come si fa a non rendersene conto ? come si fa a non aprire gli occhi e a non svolgere una funzione di education sul nuovo che è ormai gia avanzato e che non conosce vie di ritorno ; che impone profonde modifiche nei modelli sociali, nella competizione, negli strumenti d’impresa ed istituzionali ed un lavoro corale di risistemazione delle cose che non vanno anche in Europa.

Dopo una ipotetica destrutturazione dell’esistente, a cui spingono talune frange oltranziste, sarà tutta la collettività ad impoverirsi con un ritorno al passato senza fine. ( E si è certi che non vincerebbe nessuno e tanto meno chi oggi ha pure ragione ad invocarla per il dislivello sociale ed economico nel quale versa, perchè è altrettanto certo il rischio di diventare ancora più deboli in mancanza di tutele sociali e di welfare in una società con risorse sempre più ridotte).

Una lettura meditata e consapevole di tanti dati disponibili deve aiutarci a capire ed a comprendere che oggi, dopo i vent’anni e passa di cattiva gestione pubblica occorre fare uno sforzo di risistemazione; ed occorre farlo soprattutto prioritariamente nelle aree dove si individuano eccessi a beneficio di quella parte della popolazione che sente le criticità di un sistema troppo squilibrato: i veri poveri ( quelli veri sul serio) , i disoccupati, i giovani.

E finanche nel sistema delle imprese tra quelle che sopravvivano solo grazie a rendite di posizione , di monopoli e grazie a sostegni immeritati con una attenzione che privilegi quelle che si orientano all’ innovazione ed al cambiamento, che investono in capitali di rischio e che consentono all’Italia di poter difendere i mercati e di occupare tante risorse ( le SMEs). L’outlook evidenzia infatti la forza delle aziende medio piccole spina dorsale della nostra economia.

Per fare ciò occorre un disegno politico/ industriale “illuminato” da calare nella società ; occorre ricostruire la catena del valore e del merito in ogni angolo del sistema guardando al meccanismo redistributivo che deve essere di aiuto anche alla domanda , disencintivando altresi la formazione di risorse finanziarie in eccesso che non vengono spese o immobilizzate , che rappresentano solo fonti di rendita e non anche capitale per principiare nuove imprese.

La caduta dei tassi nel mondo è il segnale più palese di questa condizione di enorme ricchezza finanziaria che non sa dove collocarsi e che è alla ricerca di nuove opportunità. I dati della crescita dei fondi e degli aggregati finanziari sono li a testimoniare questa anomalia che J.M Keynes definì il paradosso del risparmio. Troppo risparmio storpia : non è positivo per l’economia.

Altri dati sono tutti li a confermare che siamo una società ferma, che siamo ad un giro di boa, all’ultima spiaggia in un paese che vede crescere il valore aggiunto del settore primario solo del 2% contro il 2,6 della media OCSE, che ha una popolazione di under 15 ( i giovani e le potenzialità del futuro) al 14% della popolazione contro il 18% dei paesi Ocse dove nascono più bambini e che ha una popolazione over 65 del 20,5% contro il 14,9, media degli altri paesi, con tutto ciò che ne consegue. Mancano le nuove leve e siamo un paese di vecchi.

Al momento ci aiuta solo un dato positivo ricostruito con pazienza negli ultimi due, tre anni: la fiducia.

“Nel 2015 scadono 141 miliadi di BTP. Annata di rimborsi pesanti allegerita se il costo del rifinanziamento resterà ai minimi storici come quello attuale raggiunto dalla crisi del 2008. Ma i mercati sono perplessi : chi compra i BTP decennali sotto al 2%.” Sole 24 ore del 30 nov.
Qual’è la risorsa messa in campo in assenza delle ristruttuazioni che sebbene annunziate non sono ancora avvenute e che quando saranno state fatte spiegheranno gli effetti dopo un certo tempo : la fiducia. La fiducia nella volontà del fare e nella credibiilità delle promesse annunziate , accompagnate da una solida determinazione; una fiducia che al momento ha generato circa 10 miliardi di minori oneri sul debito in soli due anni.

Ma i mercati come la danno cosi la ritirano. Cosi prosegue la Bufacchi sul sole 24 di qualche giorno fa. “ I portafogli esteri sono ancora lontani dai picchi degli Holdings in BTP . Il risultato delle elezioni in Emilia Romagna , per la sorprendente ascesa di Salvini antieuropeista non è proprio quello che si dice “ market friendly”. Una delle domande che si pongono i gestori dei fondi esteri, soprattutto non europei, è se l’Italia e gli Italiani sono favorevoli oppure contro l’Euro. Il voto di protesta di Grillo non aveva impensierito i mercati neanche quando Grillo urlava nelle piazze “abbassa l’Euro e ristrutturazione del debito pubblico”. Altra cosa è Salvini che trasforma la disoccupazione in antieuropeismo e stringe intese con personaggi come Marie Le Pen.”

L’Italia e gli Italiani sono avvertiti. Dobbiamo sperare che la fiducia non venga meno , che la ragionevolezza degli italiani non la metta in crisi e che soprattutto le riforme annunziate diventino quanto prima , e ad ogni costo, concrete, altrimenti le tante considerazioni ricostruite sul mercato scemeranno all’improvviso e le derive saranno questa volta immediate e rapide.

Per dare senso e valore alle considerazioni svolte sono stati estratti dati e charts da fonti autorevoli.
Sono li a corroborare gli assunti peraltro abbondantemente trattati dalla stampa con un focus spesso troppo orientato al giornalismo e meno all’idea di fare un lavoro di education.
Se ne sente il bisogno: una volta era mission di entità politiche e partitiche nelle quali si credeva.

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Vedi nelle charts allegate, aprendo il link dati della povertà nelle diverse regioni del mondo tempo per tempo e sulla base delle previsioni tendenziali.

Non a torto si sostiene che riduzione della povertà sia la conseguenza della globalizzazione che sposta risorse, competenze e imprese e fattori della produzione alla ricerca della allocazione ottimale e degli spazi di competizione aggredibili. E’ impressionante leggere che nell’East Asia e nel Pacifico , nel Sud dell’Asia e nell’Asia Centrale già nel 2015 si registrerà un calo decisivo con una tendenza all’azzeramento delle povertà nel 2030.I poveri diminuiscono da unmiliardo 940milioni del 1981 a 1 miliardo circa del 2011 e diventeranno 835 nel 2015, 696 milioni nel 2020 , 411 milioni nel 2030. Rappresentano nel 2011 il 15% della popolazione contro il 39% del 1981.

Chart della graduatoria della corruzione siamo al 69 posto insieme a Grecia, Romania ,Senegal.
I nostri partners europei ci precedono e ci danno lezioni.

Chart del doing business della facilità di fare business, di avviare imprese siamo al 56 posto preceduti da tutti i nostri partners che a ragione si fanno protagonisti negli investimenti dall’estero relegandoci a ruoli marginali.

i dati della povertàDall’ultimo outlook OCSE sull’Italia per le SMES ( small and medium enterprises) si leggono alcuni dati sui quali pare utile soffermarsi.